Uno sguardo penetrante su una particolare fase della vita di Luigi Pirandello rivelando le sfumature della sua umanità, le passioni ardenti, le ossessioni e l’intimità più profonda dell’artista: un capitolo della sua esistenza caratterizzato da un amore travolgente e inarrivabile per Marta Abba, oltre che da un rapporto tempestoso con la follia della moglie Antonietta. Placido cerca di portare sullo schermo il tormento e la forza dell’artista, un visionario eterno e implacabile capace di trasformare la sua infelicità in arte.
Italia/Belgio 2024 (112′)
In viaggio per ricevere il Premio Nobel per la letteratura nel 1934, Luigi Pirandello (Fabrizio Bentivoglio) ripercorre mentalmente la sua vita: il rapporto sofferto con la disturbata moglie Antonietta (Valeria Bruni Tedeschi) dolorosamente internata, la ricerca ossessiva di un’arte che abbatta il confine con la vita, l’amore non consumato con l’attrice Marta Abba (Federica Luna Vincenti), la difficoltà a essere un padre per i suoi due figli e sua figlia. Un percorso artistico, ma anche un percorso di sfuggente espiazione. Eterno visionario, che Michele Placido ha basato sul libro Il gioco delle parti. Vita straordinaria di Luigi Pirandello di Matteo Collura (Longanesi), richiede di appiedare nel suo registro carico, sopra le righe, costruito su una retorica corposa e – almeno sulle prime – distanziante per chi lo osservi e lo ascolti con uno sguardo contemporaneo. Pensiamo tuttavia che sia necessario fare attenzione a un’aspetto di quest’enfatica “teatralità”, quando non solo si discute di teatro, ma di teatro e letteratura in un’epoca che dava all’arte retorica un valore di innalzamento, un potere di veicolare i moti dell’animo, di farsi bussola verso la verità. Il lavoro di Placido e del suo cast, a novant’anni dal Nobel raccolto da Pirandello dopo Il fu Mattia Pascal, ne celebra la figura più sul piano biografico e storico, che su quello linguistico, come invece scelse di fare qualche anno fa Roberto Andò con La stranezza, dove la stessa struttura narrativa incarnava il metalinguismo dello scrittore siciliano.
Placido sceglie piuttosto di dare al pubblico l’uomo prima del suo lavoro, o meglio di intrecciare l’uomo e il suo lavoro sul piano più emotivo, disperato e meno cerebrale: di scelta si tratta, perché anche Eterno visionario, quando si concede le sue parentesi metanarrative, dimostra di amare la poetica dell’autore. In particolare colpisce una riuscita epifania della vecchiaia, quando Luigi rinuncia a baciare Marta Abba, guardandosi a uno specchio, ma guardando di fatto in macchina, osservando noi, spettatori e spettatrici. Al di là di queste parentesi brevi, Eterno visionario racconta Pirandello più che incarnarlo, ma lo fa piuttosto bene, tanto da fornire coordinate interessanti per avviarsi nella sua scoperta o riscoperta: la centrata interpretazione di Valeria Bruni Tedeschi nei panni della disturbata Antonietta è una chiave molto utile per illuminare una parte del non detto che il Pirandello uomo celava a se stesso, riversandolo però nelle sue opere. Luigi non soffre solo per Antonietta, ma sembra anche averne paura, quasi fosse consapevole che il male di vivere di sua moglie, internata perché diventata ingestibile, sia solo una valvola di sfogo sbagliata a un dolore esistenziale che lui conosce sin troppo bene. Nel suo caso ha preso la via dell’arte, ma con una sofferenza non inferiore: “Si scrive per vendicarsi di essere nati”, dirà lo scrittore, tentando di non essere nemmeno pianto al suo funerale…
Domenico Misciagna – comingsoon.it
Eterno visionario è un film di Michele Placido anche nella continuità con cui il regista, a partire da Un eroe borghese, ha deciso di rileggere la storia italiana attraverso altrettanti biopic dedicati a figure divorate dalle proprie ossessioni, eppure in grado di attraversare il limite fino a essere precursori (non solo Caravaggio ma anche Renato Vallanzasca nel suo campo lo fu) del proprio tempo. Per non dire delle lunghe e continue frequentazioni pirandelliane avute da Placido nel corso della sua carriera teatrale. Da questo punto di vista la riuscita di Eterno visionario va oltre la puntualità delle interpretazioni – oltre a quella di Fabrizio Bentivoglio e Valeria Bruni Tedeschi, bravi a dar vita alla follia del ménage matrimoniale, si distingue anche Federica Vincenti nel ruolo della Abba – trovando motivo di interesse in funzione didattica per la capacità di raccontare con chiarezza e semplicità i meccanismi dell’arte e in particolare quelli che riguardano la genesi dell’opera come pure di ragionare e far pensare alle similitudini tra la teatralità dell’arte e quella della vita. Caratteristiche queste che hanno come rovescio della medaglia il rischio di una sintesi che deve dare conto di troppe cose (a cominciare dall’opera omnia di Pirandello) e che così facendo ogni tanto trasforma la divulgazione in un racconto didascalico. Come succede quando Eterno visionario riflettendo sulla modernità dell’opera del drammaturgo siciliano lo fa attraverso una serie di stereotipi (l’omosessualità, il travestitismo) che esplicano il tema senza riuscire ad approfondirlo. Ciò detto il film resta una delle opere migliori del regista pugliese e comunque all’altezza dell’amore sempiterno di Placido per il suo protagonista.
Carlo Cerofolini – ondacinema.it