Dopo la misteriosa scomparsa della propria bambina, una giovane coppia inizia a ricevere strani video e si rende conto che qualcuno ha filmato la loro vita quotidiana, persino i momenti più intimi. La polizia mette la casa sotto sorveglianza per tentare di sorprendere il voyeur, ma la famiglia inizia a sgretolarsi a mano a mano che i segreti si svelano sotto lo sguardo attento di occhi che li osservano da ogni parte. Un saggio straordinario sull’atto del guardare, e sulla condizione di ipervisibilità a cui sono quotidianamente sottoposti tutti i cittadini delle megalopoli contemporanee.
Singapore/Taipei/Francia/USA (125′)
C’è sempre qualcuno che guarda. In uno stato-metropoli insulare come Singapore, dove l’altissima densità di popolazione si intreccia inestricabilmente con l’assoluta pervasività dei sistemi di (video)sorveglianza, nessuno è al riparo dall’atto del guardare, e dalle pulsioni, sia voyeuristiche che trasformative/riflessive, che si celano dietro questo fenomeno scopico. L’esser visti, seppur sia un fattore accettato come una consuetudine ordinaria, può rivelare paradossalmente delle verità nascoste agli occhi di guarda o di colui che viene osservato, specialmente se tale azione è declinata negli spazi della quotidianità: suscettibili di essere “invasi” e di conseguenza di venire emotivamente violati con un semplice gesto, che sia esso umano (quindi riconducibile allo sguardo di un uomo/voyeur) sia artificiale/digitale. Ed è proprio in nome di questa vulnerabilità intrinseca dell’individuo all’atto del vedere, esaltata dalla distribuzione capillare delle camere di sorveglianza lungo il reticolo urbano singaporiano, che i personaggi di Stranger Eyes si troveranno “vittime” di processi trasformativi su cui non possono esercitare il minimo controllo (…) Ciò che dona una radicalità palpabile a Stranger Eyes è questa propensione del cineasta non solo a rivelare i traumi e le crisi degli individui attraverso le immagini che ne riproducono l’aspetto, ma è soprattutto l’attitudine del regista a servirsi del tema della sorveglianza – sia di origine videografica, che puramente umana – per plasmare le personalità dei protagonisti in nome di una condizione di ipervisibilità che porta al collasso dell’idea di un’identità stabile ed univoca. Nell’interazione tra il vedere e l’essere visti, sia la coppia di genitori sia il voyeur perdono il senso di loro stessi, e nel contempo lo riacquistano. Perché tutti loro – e, per estensione, tutti noi che viviamo all’ordine del giorno sotto lo sguardo panottico della sorveglianza – si configurano come testimoni involontari della vita degli altri, dal momento che il contatto con l’esterno, il modo in cui si appare all’occhio altrui e a quello delle camere, permette a chi guarda di formulare giudizi personali sulla personalità del prossimo, e a chi è guardato di rivelare lati inattesi di sé. Specialmente se a riprendere le persone, sembra suggerirci Yeo Siew Hua con la storia del voyeur, sono le strumentazioni del cinema. Ancora capaci di riconfigurare il punto di vista su un dato fenomeno, e di estendere la conoscenza che abbiamo dello stesso verso confini (in)immaginabili.
Daniele D’Orsi – sentieriselvaggi.it
C‘è un momento incredibile, rivelatore, in Stranger Eyes di Yeo Siew Hua: uscendo dal commissariato, la nonna della piccola bambina scomparsa viene osservata dalle telecamere di sicurezza all’interno dell’ascensore. Con lei che, a sua volta, osserva da dietro una sconosciuta mentre guarda il proprio smartphone. È in questo continuo slittamento tra il guardare e l’essere guardati che la riflessione di Stranger Eyes riesce a farsi strada tra le pieghe di una vicenda serrata e coinvolgente: dopo la misteriosa scomparsa della propria bambina, una giovane coppia inizia a ricevere strani video e si rende conto che qualcuno ha filmato la loro vita quotidiana, persino i momenti più intimi. La polizia mette la casa sotto sorveglianza per tentare di sorprendere il voyeur, ma la famiglia (nonna compresa) inizia a sgretolarsi a mano a mano che i segreti si svelano sotto lo sguardo attento di occhi che li osservano da ogni parte (…)
Stranger Eyes parte illudendoci che al centro di tutto ci sarà quella misteriosa sparizione e la successiva indagine per ritrovare la bambina, dirottando poi verso altri lidi, tra l’ossessione di chi – incuriosito da alcuni comportamenti sospetti – inizia a “spiare” la vita altrui (ad emergere sarà un quadro a dir poco sordido…) – e la morbosa curiosità di chi (noi spettatori) finirà per ritrovarsi ad osservare colui che osserva. Per ritrovarci, verso metà film, nuovamente in quel parco giochi: la bambina e il padre sono lì, il voyeur è seduto su una panchina. Ma è un’altra falsa pista, un altro momento “superfluo”, un punto d’osservazione che servirà ad anticipare l’ennesima svolta del film, con gli osservati che diventeranno osservatori. E in tutto questo, che fine ha fatto la piccola Bo? Ogni immagine può dirimere in maniera netta, definita, il dubbio tra verità e menzogna?
Valerio Sammarco – cinematografo.it