In Ucraina, nel 1930, alcuni contadini provano a dar vita a un kolchoz per appropriarsi di attrezzature più moderne, utili ed efficienti. I kulaki sono però ostili a tale eventualità: un conflitto che farà scorrere il sangue, inevitabilmente.
Zemlja / Земля
URSS 1930 (69′)
Un grande poema naturalistico che celebra il rapporto tra il cittadino sovietico e il suo elemento. Il tutto in un’altissima forma estetica corroborata da un lirismo mai di maniera. Dovženko firma uno dei più grandi capolavori del cinema muto con una personalità permeata di straordinario senso delle immagini. La storia inizia con un assassinio. Un giovane animatore di una cooperativa, Vasil, viene barbaramente ucciso da un contadino. Il suo funerale sarà occasione di una festa spontanea e di una comunione bucolica con la natura circostante, che appare come una creatura viva, lussureggiante, compagna di liturgia. La Natura appare come un membro del patto sociale, un elemento perfettamente inserito del meccanismo umano, la madre benigna che accoglie, protegge e dispensa nutrimento ai suoi figli. Un’opera incredibilmente moderna a fronte di un gusto estetico raffinatissimo e di un talentuoso uso della cinepresa. Una pellicola che ancora oggi sa commuovere e appassionare, segno inequivocabile di un’arte che resiste al tempo vincendone gli inganni.
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Un classico del cinema sovietico, un inno lirico al rapporto tra l’uomo e la terra, in cui l’elemento naturale è sempre presente, maestoso e preponderante, quale orizzonte esistenziale dei personaggi che si alternano sullo schermo.
La terra è la danza onirica e sognante di un popolo che si riappropria del senso comune, del valore della collettività e della condivisione. Nel 1930, nel pieno del primo piano quinquennale dell’Urss staliniano, Aleksandr Dovženko firma un poemetto lirico in difesa della terra
Dramma epico sulla collettivizzazione in Unione Sovietica, il capolavoro di Dovženko mette in secondo piano le ragioni della propaganda (sarà sprezzantemente tacciato in patria di ‘panteismo’ e di ‘scorrettezza’ ideologica) a favore di una lirica esaltazione dell’armonia fra uomo e natura.
La terra rappresenta uno straordinario poema, capace di resistere nel tempo, nonostante all’epoca si attirò gli strali della critica più ortodossa – così come capitò a un film che affrontava lo stesso tema, il vecchio e il nuovo di Ejzenstejn – testimonianza dell’idea che il mondo e la natura siano preponderanti sull’elemento umano. Un grande classico, più volte classificato tra i dieci film più belli della storia del cinema, interpretato principalmente da attori non professionisti e con alcune sequenze indimenticabili.
Quello di Aleksandr Dovženko è uno dei film chiave nella rappresentazione cinematografica della rivoluzione russa, nonché uno degli esempi più artisticamente rilevanti del cinema sovietico del periodo. Utilizzando un eccezionale e livido realismo sociale e un’attenzione incredibile alla potenza formale di ogni singola immagine, il regista, già di suo alfiere indiscusso del cinema russo, mette in scena una storia di rivalsa di classe che tocca alcuni dei temi cardine di quella cruciale porzione di Storia: la riappropriazione di un’identità attiva e pragmatica da parte delle classi meno abbienti e più sfruttate della popolazione; il conflitto tra mondo rurale, legato a vecchi sistemi di pensiero e di azione, e l’inevitabile, anche se lento e progressivo, insorgere della modernità; lo scontro come unico mezzo per instaurare una forma di dialettica nelle rivendicazioni pubbliche. Su tutto emerge però la celebrazione sofferta alla madre terra, cui si “inneggia” in maniera non convenzionale ed epocale dal punto di vista della riflessione immaginifica, attraverso un’opportuna analogia tra lo scorrere del tempo quotidiano a disposizione di ogni individuo e il susseguirsi delle diverse stagioni. Un tono elegiaco di impressionante spessore che fa fare al lungometraggio di Dovženko un salto non indifferente, tirandolo fuori dai limiti dell’opera di propaganda e traghettandolo verso il grande film a tutto tondo, poetico e umanista. Presentato alla prima edizione della Mostra del Cinema di Venezia e omaggiato dai Taviani nel loro La notte di San Lorenzo (1982).
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