Il maestro che promise il mare

Patricia Font

Siamo in Spagna, poco prima del franchismo. Un maestro sui generis vuole accarezzare il futuro, infondere coraggio con metodi non canonici. Ha un’impostazione laica che gli crea non pochi problemi con l’oscurantismo delle istituzioni, fa stampare piccoli quaderni ai suoi alunni, utilizzando la tipografia come mezzo di apprendimento. Un giorno promette loro che vedranno il mare per la prima volta, ma la realtà forse non sarà clemente con i loro sogni.

El Mestre Que Va Prometre El Mar
Spagna 2023 (105′)

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   La scuola si conferma un sempreverde al cinema. Lo sguardo è a L’attimo fuggente di Peter Weir, ma, tralasciando per un attimo i pilastri del genere, in pochi mesi abbiamo visto The Holdovers – Lezioni di vita di Alexander Payne, Un mondo a parte di Riccardo Milani e il capolavoro Racconto di due stagioni di Nuri Bilge Ceylan. Stati Uniti, Italia, Turchia e adesso Spagna. In Il maestro che promise il mare, vibrante successo in patria, lo sguardo è anche politico. Il protagonista Antonio Benaiges è davvero esistito, e nella penisola iberica è un eroe, che si è opposto all’avanzata dell’oppressione. In Spagna il franchismo è una ferita ancora aperta, raccontata con ardore in Il labirinto del fauno di Guillermo Del Toro e anche in Madres Paralelas di Pedro Almodóvar. Le fosse comuni, le migliaia di vittime, le esecuzioni di massa. Il maestro che promise il mare gioca con piani temporali diversi. Nel 2010 una donna cerca il suo bisnonno, caduto sotto il regime, che in qualche modo era collegato al professor Antonio. La sua indagine è un percorso di autodeterminazione, inseguendo una cura che non potrà mai lenire quel dolore. Lei rappresenta una nazione che capisce il valore della memoria, che non vuole e non deve dimenticare. L’antidoto al veleno del fascismo è il ricordo, come sottolinea la cineasta Patricia Font. Il suo film guarda al presente con inquietudine, è pieno di umanità, si dimostra attuale. Niente di nuovo, s’intende. Ma lo spirito pedagogico è importante, l’anima del racconto è trasversale, si rivolge a ogni generazione. Con il mare che diventa, con cinefila nostalgia, l’oggetto del desiderio, l’immagine di un luogo impossibile da raggiungere, in cui dovrebbe regnare la pace. Ma anche oltre la costa sono in vigore regole spietate. Come scriveva Hemingway: “Pesce ti voglio bene e ti rispetto molto. Ma ti avrò ammazzato prima che finisca questa giornata”. Il romanzo era Il vecchio e il mare, e avrebbe visto la luce qualche decennio dopo. Ma in quelle righe forse è racchiuso lo spirito di Antonio Benaiges, troppo in anticipo per il suo secolo, ma da allora proiettato verso il futuro.

Gian Luca Pisacane – cinematografo.it

    Se c’è una memoria storica ancora a forma di strettoia, dalla pacificazione perennemente insoluta, è quella della guerra civile spagnola. A recuperare un brandello di quella brutalità atavica ed ideologica ci ha pensato la regista spagnola Patricia Font con Il maestro che promise il mare. Nel 1935 nel paesino di Banuelos de Bureba nella provincia settentrionale di Burgos, il giovane maestro catalano Antonio Benaiges (Enric Auquer) assume l’incarico d’insegnamento per una piccola classe di bimbi dai 6 ai 12 anni. Tra loro c’è la figlia del sindaco, il figlio di un contadino cocciuto, un bimbetto sbandato. Benaiges insegna l’abc e la matematica, ma soprattutto sa far sviluppare in loro la libera espressione (il metodo pedagogico si chiama Freinet) facendogli stampare quadernetti coi loro pensierini e invitandoli a pensare come sarebbe bello vedere il mare. Solo che Benaiges è “un rosso”, un attivista antifascista che scrive articoli politici, fuma la pipa, girella con una camicia rossa in paese. La sua gioviale, anticonformista permanenza a Banuelos durerà il tempo dell’arrivo dei sanguinari falangisti franchisti armati. Capiamoci, Il maestro che promise il mare non è affatto il tipico “Keating movie” sull’emancipazione dei singoli a scuola dovuta al mentore sui generis. Semmai è un film concettualmente semplice, senza fronzoli formali, perennemente in bilico sul tragico destino suggerito, paventato, improcrastinabile che attende Benaiges. Immerso in una tonalità livida grigio blu, sviluppato su due piani temporali – quello dell’oggi con la giovane Arianna (Laia Costa) alla ricerca dei resti del bisnonno in una fossa comune del Nord della Spagna e, appunto, l’esperienza di Benaiges a Banuelos con i bambini tra il ’35 e il ’36 (la parte di Benaiges è migliore) -, Il maestro che promise il mare ha dalla sua la forza solare, concreta, vagamente folle, del protagonista e un ritmo apparentemente sommesso che nello scorrere dei minuti acquisisce tensione. Così il film della Font distribuisce emozioni profonde a piccole dosi, fino ad una conclusione incredibilmente tosta, tragica, asciutta e antispettacolare da lezione di etica sullo sguardo di regia. Sul tema delle fossi comuni dei prigionieri politici antifranchisti se n’è occupato in parte anche Pedro Almodovar con Madres Paralelas. Ovviamente la vicenda di Benaiges è reale ed è stata raccontata nel libro El mestre que va prometre el mar scritto da Francesc Escribano.

Davide Turrini – ilfattoquotidiano.it

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