Volver

Pedro Almodóvar

Dopo la sua morte, Irene torna sotto forma di spirito nella natìa La Mancha per cercare di risolvere il difficile rapporto con le figlie Raimunda e Soledad che non era riuscita a chiarire mentre era in vita. Il riaffiorare di tragici eventi del passato getterà nuova luce sul presente.

Spagna 2005 (120′)
CANNES 59°: Palma d’oro collettiva alle attrici

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   Con Volver Pedro Almodóvar realizza quella che si può definire una struggente dichiarazione d’amore nei confronti dell’universo femminile. Interpretato magistralmente da sei attrici (premiate con una meritata Palma d’oro collettiva a Cannes nel 2006) si tratta di un’opera che rappresenta tre generazioni di donne, creatrici di vita e consolatrici nella morte, tutta permeata da una nostalgia che arriva dalla vita personale del regista, cresciuto in una famiglia matriarcale nella ventosa regione de La Mancha. A prevalere, è comunque il personaggio di Raimunda, esuberante e piena di emozioni, interpretata con dirompente sensualità da Penélope Cruz, un personaggio costruito da Almodóvar ricalcando il modello neorealista di Sofia Loren ne La ciociara (1960). Volver è quindi una rappresentazione mitica dell’universo femminile, visto attraverso lo sguardo di un uomo adulto che conserva intatto nella memoria lo sguardo sognante di un bambino. I piani dei sentimenti si intersecano per andare a comporre una struggente riflessione che segna un punto fermo nel melò contemporaneo, fiammeggiante e profondamente compassionevole al tempo stesso. Il risultato è un affresco dove la solidarietà e lo spirito materno vengono trasportati sullo schermo dell’eccezionale sensibilità, umana e cinematografica, di Pedro Almodóvar.

longtake.it

 ...Una commedia popolare nella quale si piange molto, o un dramma familiare dagli echi antichi disseminato da scene di comicità irresistibile. Concretissimo, nei colori, negli umori, nei cibi preparati con lo stesso coltello da cucina con il quale un uomo è stato ucciso (e ne valeva la pena), nei corpi stordenti o insignificanti delle protagoniste, nei loro sentimenti, ricordi, azioni, Volver è anche un film completamente surreale, nel quale un fantasma si materializza al punto che, per sottrarsi agli sguardi indiscreti, deve nascondersi sotto il letto, e gli omicidi non lasciano tracce nelle coscienze, ma solo tombe seminate in giro, e la morte, che domina fin dalla prima inquadratura, finisce per essere solo un aspetto (anche se sostanzialmente incomprensibile) della vita. Gli sguardi si intrecciano in campo controcampo, madri e figlie si parlano, sedute fianco a fianco su una panchina, di notte, o alla tavola apparecchiata della cucina, i mulini a vento della Mancha segnano i ritorni al paese, un primo piano fissa le lacrime negli occhi di Penélope Cruz o la consapevolezza in quelli di Carmen Maura: Almodóvar ormai ha la grande semplicità dei classici.

Emanuela Martini – FilmTv

  Finiamola qui:diamo la Palma d’oro a Pedro Almodóvar film successivo in archivio e torniamo tutti a casa. Sarà difficile vedere a questo festival un film più bello di Volver; e poi, Pedro corteggia leoni e palme invano da più di trent’anni. Qui a Cannes. avrebbe meritato di vincere già con Tutto su mia madre, ma il massimo premio sarebbe ancora più giusto per Volver, che chiude un ciclo nella sua carriera, un viaggio verso la semplicità che l’ha portato a girare il suo film più secco e più personale. Almodóvar è stato per un paio di decenni un grande «eccentrico» del cinema. Piaceva perché liberava il cinema spagnolo da mille lacciuoli imposti dal franchismo ed esprimeva in modo sfacciato l’anima della movida. Con lui irrompevano nel cinema spagnolo i gay, i trans e le donne in crisi di nervi; e pareva, lui stesso, un cineasta-freak uscito dai suoi film, come se non ci fosse il minimo stacco fra l’Opera e l’Autore. Con Tutto su mia madre, la svolta: il film era insieme divertentissimo e toccante, e calava i personaggi estremi in un vissuto sincero e doloroso. Parla con lei e La mala educacion hanno confermato la tendenza; Volver, la esalta, cancellando ogni stravaganza (qui i personaggi sono quanto di più «normale» e quotidiano si possa immaginare) e raccontandoci la Spagna di oggi con una verità, e un umorismo, degni di un De Sica. Anche se meno «fiammeggiante» dei precedenti, Volver è il film più bello di questa fase, quindi – tenetevi, l’affermazione è forte – il suo capolavoro.
«Volver» significa «tornare». Per Pedro, è il ritorno alla Mancha, la terra dove è nato, dove il vento fa impazzire la gente (e i mulini, come ben sapeva Don Chisciotte) e dove mediamente le donne vivono 20 anni più degli uomini. È qui che «tornano» Raimunda e Soledad, due sorelle inurbate a Madrid, per rivedere la tomba dei genitori (morti anni prima in un incendio) e far visita a una vecchia zia rimbambita, convinta che la sorella morta viva ancora con lei. In realtà la zia non è l’unica a pensarla così: anche Agustina, una vicina che si fuma la «maria» coltivata in giardino, giura di vedere regolarmente la defunta. Raimunda e Soledad tornano a Madrid convinte che al paesello siano tutti pazzi. Ma la pazzia arriva anche in casa loro. Paula, la figlia 14enne di Raimunda, ammazza quel fannullone del padre, che ha tentato di stuprarla; Soledad, dopo varie vicissitudini, si convince che il fantasma della madre l’ha seguita a Madrid. Pian piano scopriremo che i padri non sono padri e che i fantasmi non sono fantasmi.., Ma ci fermiamo qui, per non togliere la sorpresa di un film scritto magistralmente e recitato da una squadra di donne una più brava dell’altra: Penelope Cruz, Lola Duenas. Bianca Portillo e l’incredibile Carmen Maura, il fantasma più simpatico mai visto sullo schermo.

Alberto Crespi – L’Unità

  …Il tutto, ecco la vera sorpresa, evitando gli eccessi, le citazioni e i trucchi di regia cui il cinema di Almodóvar ci aveva abituato, anzi dimostrando una sobrietà, una semplicità, una sicurezza che sono il segno di una nuova maturità. Quella che permette al regista spagnolo non solo di mescolare i generi e i toni più diversi con naturalezza miracolosa, ma di distillare sentimenti così profondi che anche la trama più feuilletonesca diventa metafora degli affetti, dei dubbi, dei rimpianti che circolano più o meno apertamente in ogni famiglia. Con la semplicità delle cose di tutti i giorni cui finiscono per mescolarsi (è anche il senso della meravigliosa canzone di Gardel che dà il titolo al film) le grandi domande dell’esistenza. “Cose di donna”, dice Penelope Cruz in una scena per tagliar corto. Come dire niente, un nonnulla. Ma in quel niente c’è tutto.

Gabriele Ferzetti – Il Messaggero

cinélite  TORRESINO all’aperto: giugno-agosto 2006

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