Ba Mùa
Vietnam 1999 (113′)
UDINE – La ricca retrospettiva di questo FEFF 26 ha offerto la possibilità di vedere restaurato il bel film di Tony Bui Three Seasons (1999), primo film americano girato da un regista vietno-americano nel sud-est asiatico dopo la guerra del Vietnam in lingua vietnamita e con attori vietnamiti, premiato al Sundance, ma poi scomparso e reperibile soltanto su Youtube.
Le terribili ferite lasciate dalla guerra sulla popolazione del suo paese, che Bui aveva lasciato a quattro anni per emigrare negli USA con i genitori, hanno spinto il regista esordiente ventiseienne, come egli stesso ha raccontato in sala alla proiezione del film., a ritornare in Vietnam per girare un film che raccontasse non la guerra, come molti altri avevano fatto, ma il dopo-guerra, attraverso le storie di chi non aveva potuto godere della ingente quantità di aiuti piovuta sul paese per la ricostruzione.
Una ragazza orfana che raccoglie fiori di loto e che presta le sue mani a un poeta deturpato dalla lebbra, un conducente di ciclo-taxi che si innamora di una prostituta arrogante, un bambino venditore ambulante alla ricerca della sua valigetta con la mercanzia che gli è stata rubata, un ex-marine (Harvey Keitel) tornato per cercare la figlia che aveva abbandonato: le loro storie si intrecciano nella ex-Saigon di Tre stagioni. Prostituzione, bambini orfani abbandonati a se stessi, miseria in una città che reca i segni del passato conflitto sono gli stessi temi che Tsukamoto aveva affrontato in Hokage visto all’ultimo Festival di Venezia, ma se il regista giapponese aveva scelto i toni più drammatici e cupi per rappresentare un mondo senza speranza, in Bui prevalgono i toni elegiaci, astratti, quasi incantati di chi ha riscoperto il proprio paese di origine attraverso una macchina da presa, dopo tanti anni di ricordi familiari più o meno mitizzati. Alle immagini crude come quelle dei due bambini che si trascinano silenziosamente insieme nei vicoli piovosi e squallidi, si affiancano momenti di un lirismo, che può sembrare anche eccessivo, come la distesa di fiori di loto bianchi che riempiono lo schermo mentre le raccoglitrici cantano, perché nel film di Bui alla stagione “asciutta” e a quella “bagnata” si affianca quella della “speranza”, passato, presente e un futuro, che non viene negato perché, per usare le parole del regista “solo con i cambiamenti si cresce, anche quando il cambiamento è nebbia, dobbiamo affrontarlo.” Speranza che tuttavia non nega la dura condanna di qualunque guerra.
Cristina Menegolli – MCmagazine 91