Samsara

Lois Patiño

Il film affronta il tema della reincarnazione, in chiave di buddhismo tibetano, seguendo spiriti che viaggiano tra Laos e Tanzania. Lois Patiño usa sapientemente la pellicola 16mm per creare gli effetti cromatici tipici del suo cinema, i viraggi, i colori che sbavano, arrivando a un trip allucinatorio che visualizza la fase che intercorre tra il trapasso e la rinascita di una nuova vita.

film edito solo in Versione Originale Sottotitolata
Spagna 2023 (113′)
Premio della Giuria in Encounters – Berlinale 2023

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   Accompagnare un’anima da un corpo all’altro. È ciò che propone Lois Patiño in Samsara, il suo terzo lungometraggio dopo Costa da Morte e Lúa vermella. Con esso partecipa alla sezione Encounters della 73ma edizione della Berlinale, aperta a ogni tipo di sperimentazione. Come questo film girato tra il Laos e Zanzibar, diviso in due parti (ognuna fotografata da una persona diversa, Mauro Herce nel primo paese e Jessica Sarah Rinland in Tanzania) e con una rischiosa parte centrale di passaggio, della durata di 15 minuti, durante i quali lo spettatore è invitato a chiudere gli occhi e a lasciarsi trasportare dai suoni e dai lampi che si intravedono nell’oscurità, con le palpebre abbassate. Perché Samsara vuole essere un viaggio emozionale e sensoriale. Il film è intriso di spiritualità, dai paesaggi laotiani in cui i monaci visitano luoghi di natura ammaliante e un giovane legge il Libro tibetano dei morti, a una donna anziana in procinto di migrare in un altro corpo, passando per i sogni che uno dei personaggi sperimenta o il già citato passaggio costellato di voci, bagliori e colori fino a raggiungere un’enclave diversa, ma ugualmente affascinante.

Girato in 16 mm, Samsara riesce ad ammaliare qualunque spettatore gli si avvicini desideroso di lasciarsi sedurre da altre culture, stati d’animo e credenze. Il suo andamento ritmico, l’atteggiamento calmo dei suoi personaggi e anche i momenti più artistici e sperimentali (sovraimpressioni, virate di colore e altri trucchi di montaggio in post-produzione) hanno portato la persona che firma queste parole a uno stato prossimo al rilassamento, la pace e la contemplazione. Inoltre, la narrazione lineare e dinamica di cui Patiño fa uso qui è lontana da quella impiegata in tutti i suoi lavori precedenti (sia cortometraggi che lungometraggi), sebbene la presenza onnipotente del paesaggio, come una grande tela dove l’essere umano è solo una pennellata in più, continui ad essere un marchio di fabbrica facilmente individuabile. Con la minaccia del turismo e della modernità fuori campo (ma presente in alcune conversazioni), il regista invita il pubblico a compiere questo viaggio geografico e spirituale, ad affrontare le diverse percezioni che il film offre, sia nella cornice della realtà che nel sogno. È in questo terreno, situato tra il visibile e l’invisibile, l’arte e la cinematografia, il reale e ciò che è oltre la morte, che Patiño è tornato a sperimentare con il suo nuovo film, senza paura di rischiare.

Alfonso Rivera – cineuropa.org

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