Totem – Il mio sole

Lila Avilés

Sol, una bambina di sette anni, trascorre la giornata a casa del nonno, aiutando nei preparativi della festa a sorpresa per suo padre Tonatiuh, gravemente malato. Con il passare delle ore e l’arrivo della sera, l’atmosfera però si fa sempre più pesante e il caos aumenta, minando l’equilibrio familiare e incrinando i legami che li tengono uniti. Sol capirà che qualcosa nel suo piccolo mondo sta per cambiare e abbraccerà l’essenza del lasciarsi andare, accarezzando il respiro della vita.

Tótem
Messico/Danimarca/Francia (95′)
BERLINALE 73°: Premio della Giuria Ecumenica

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 …Questo piccolo film, quieto e doloroso dramma familiare da camera, quasi tutto girato in un appartamento come La famiglia di Ettore Scola, ha un’universalità che tocca il cuore degli spettatori, ovunque. Diretto da Lila Avilés, attrice e poi anche autrice dal 2019 con l’opera prima The Chambermaid, ha una qualità autobiografica e molto personale. “Per me è sempre emozionante – afferma la cineasta – quando le persone colgono qualcosa che risuona con la loro storia o associazioni con la propria famiglia e amici. Questa è la virtù dell’arte: trascendere le barriere che tutti costruiamo e accogliere gli altri nella nostra vita interiore, la nostra casa interiore”. E il concetto di casa, come depositaria di tutte le vicende dei suoi abitanti, come microcosmo compiuto, è chiarissimo nella struttura del film che si conclude proprio con l’immagine di una stanza ormai disabitata. Totem – Il mio sole è una storia narrata dal punto di vista di una bambina di sette anni. È lei il sole del titolo italiano, Sol, interpretata da Naíma Sentíes, con la sua fragilità, la sua saggezza che la spinge a porsi domande filosofiche (che rivolge all’intelligenza artificiale di Siri) sulla fine del mondo. Davvero il suo mondo sta finendo: Sol è confrontata con qualcosa di molto più grande di lei, ma anche di noi adulti, qualcosa che capisce e capiamo solo in parte e gradualmente. Quando la incontriamo è in un bagno pubblico con la mamma e sta seduta sul water. Madre e figlia giocano, scherzano, Sol prova una parrucca riccia arcobaleno e un naso rosso da clown. Si stanno preparando ad andare alla festa di compleanno del papà della piccola. Oggi lui vive nella casa dei suoi genitori, accudito da una badante e dalle due sorelle perché non è più autosufficiente. Ben presto scopriamo che il giovane uomo, un pittore, è afflitto da una gravissima malattia ed è in uno stato di prostrazione. Per questo, durante la prima metà del film non vuole incontrare Sol, a cui tutti dicono che il papà sta dormendo. Nella grande casa con giardino di questa famiglia colta e borghese, che ora vive gravi difficoltà economiche, regna sovrano un caos fisico ed emotivo. In parte per la preparazione della festa ma molto più, e sottilmente, perché tutti sono turbati dall’incombente lutto e ciascuno reagisce a suo modo. C’è chi si rifugia in cucina sfornando e bruciando torte, chi si affida ai rituali di una sensitiva che percepisce e scaccia – dietro lauto compenso – gli spiriti maligni, chi cerca nell’arte una risposta impossibile da trovare. E poi ci sono i bambini con la loro spontanea vitalità, la capacità immediata di entrare in sintonia con gli animali e con le cose, ma anche la forsennata ricerca della verità che viene negata dagli adulti, non per malvagità ma per inadeguatezza.

Attenta ad ogni singolo dettaglio ma anche alla composizione di un quadro d’insieme, Lila Avilés – che cita tra i suoi modelli il lavoro di John Cassavetes – non si smarrisce mai lungo un percorso narrativo estremamente libero che gioca su tutta la gamma delle emozioni, dalla tenerezza alla rabbia, dal gioco gioioso alla disperazione, insomma dalla vita alla morte. In tutto questo conta moltissimo il “lessico familiare”, come direbbe Natalia Ginzburg, quel modo di parlare e di tacere, cioè di comunicare, che è peculiare ad ogni famiglia e in qualche modo unico. (…) “La vita e la morte – spiega la regista – sono una dualità, proprio come saggezza e ignoranza, dentro e fuori, giorno e notte, sole e luna, luce e oscurità, yin e yang. Un’altra dualità che m’interessa profondamente è quella del tempo e della durata. Il tempo misurato e la nostra percezione del suo trascorrere sono molto diversi, anche se entrambi descrivono un’identica sequenza di eventi. Tutti abbiamo vissuto giorni che sembrano mesi e giorni che passano in pochi secondi. La nostra percezione del tempo è spesso plasmata dagli spazi che abitiamo mentre il tempo passa”.

Cristiana Paternò – cinecittanews.it

  Il Sole illumina la Terra, lo sappiamo bene. La sua luce e il suo calore sono generatori di vita. E proprio come il nome che porta, anche Sol, una bambina di sette anni, porta luce e calore a chiunque la incontra, primi fra tutti i suoi famigliari. È ignara, tuttavia, che il padre sta affrontando il terribile calvario di un cancro che lo debilita sempre più, con tutte le conseguenze che questo porta alla grande famiglia che abita nella casa padronale e che si sta preparando proprio alla festa di compleanno dell’uomo. La luce di Sol diviene, quindi, ancor più necessaria per rendere meno buio il difficile momento che la famiglia sta affrontando. Opera seconda della messicana Lila Avilés, dopo il folgorante esordio con La camarista (2018), Tótem è stato presentato al 73° Festival internazionale del cinema di Berlino dove ha ricevuto il Premio della Giuria Ecumenica ed è stato scelto dal Messico come rappresentante nazionale per l’Oscar al “miglior film internazionale”. Avilés con garbo e delicatezza, senza rinunciare all’ironia, inquadra – letteralmente grazie all’uso del formato 4:3 e con la frenesia di una camera a spalla – l’affresco di una famiglia estesa intenta a vivere una giornata molto speciale. Luci e colori vivaci si scontrano con l’ambientazione soffocante di questa casa sì grande, ma piccola per le numerose persone che vi abitano, fra il nonno neo-vedovo che parla attraverso un laringofono e i cugini chiassosi, le zie alle prese con una fattucchiera a buon mercato e gli animali che scorrazzano liberi fra le varie stanze.

Ed è proprio questo intreccio fra luce calorosa e buio opprimente che segna la progressiva perdita dell’innocenza di Sol, chiamata troppo presto a diventare adulta, senza rinunciare a quel retaggio luminoso che ha ricevuto quasi in eredità dal padre il cui nome, Tonatiuh detto “Tona”, orgogliosamente mesoamericano, rimanda al termine azteco per identificare il dio Sole. Un film intimo, personale che si nutre di liturgie collettive (vedasi la festa di compleanno che suona già come un elogio funebre) e di ritualità più individuali, tra il magico e l’esoterico, in uno stretto legame con la terra e con il ciclo eterno della vita e della morte, che portano equilibro dentro al caos e al disordine. Come in questa grande famiglia dove il caos sembra regnare sovrano finché la vita (o la morte) non riporta ordine.

Davide Brambilla – cinematografo.it

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