Prima danza, poi pensa – Alla ricerca di Beckett

James Marsh

Surreale biografia di Samuel Beckett, autore minimalista e quindi poco cinematografico, che parte da una fuga mai avvenuta (alla cerimonia del Nobel) e dall’incontro con un altro se stesso (sempre Gabriel Byrne) per immergersi nella rievocazione degli eventi salienti (e dolorosi) della sua vita.

Dance First, Think Later
USA 2023 (100′)

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  Stoccolma, 1969. Ha vinto il Premio Nobel per la letteratura Samuel Beckett ma non sembra affatto contento. Sale sul palco, strappa bruscamente la busta dell’assegno e comincia a scalare le quinte e infilare un palco che diventa una galleria e poi un antro polveroso, dove il suo doppio lo attende. Insieme discutono chi meriterebbe davvero i soldi del premio, espiando la colpa, le tante colpe di una vita. Una lista di ‘giusti’ è stilata e inaugura i flashback. Dalla madre alla compagna, passando per un’amante o un amico perduto, Beckett ripercorre la sua vita: l’incontro con Joyce, la Resistenza in Francia, il teatro, il successo, il Nobel, la fine e il finale di partita. Un espediente onirico per incontrare la sua coscienza nella ‘soffitta’ di un teatro fantasma dove scorrono i capitoli più scivolosi della sua vita, artistica e sentimentale. Declinato in cinque personaggi, a cui il film dedica un approfondimento, Dance First, Think Later ripercorre il mondo fittizio e quello reale dell’autore irlandese, che ha servito la resistenza francese e ha cavalcato intrighi amorosi. Senza asperità e senza immaginazione, a parte il segmento iniziale, James Marsh segue cronologicamente una traiettoria che conduce dall’infanzia alla gloria. Disegna in bianco e nero, non contempla i grigi e si colora nel capitolo finale….

Marzia Gandolfi – mymovies.it

  “Da piccolo, il momento in cui fui più felice fu un giorno con mio padre, mentre facevo volare un aquilone. Ero sul pendio della collina e desideravo con tutto me stesso che rimanesse in cielo. Perché lassù c’era speranza, e il respiro, e la libertà. Quando atterrò, non c’era più niente” (…) Il regista e sceneggiatore britannico James Marsh si accosta con sfrontatezza al drammaturgo irlandese Samuel Beckett (Dublino 1906 – Parigi 1989). Un film su Beckett poco beckettiano. Una riflessione impietosa sulla vita e sui suoi significati. Una carrellata di rimpianti e occasioni perdute. Un addentrarsi nella coscienza affrontando i sensi di colpa. Meditando sulla felicità come qualcosa d’imponderabile e sempre sfuggente. Il lungometraggio inizia in maniera surreale, con Beckett che nel 1969 scappa dalla Sala dei Concerti a Stoccolma durante la cerimonia che lo ha appena proclamato Premio Nobel per la Letteratura. L’autore di Aspettando Godot, vestito di tutto punto, raggiunge attraverso una scala sul palco una sorta di grotta, che diventerà la sua comfort zone. Vi incontra il suo alter ego in giacca e dolcevita. Il doppelgänger è il suo confessore, o meglio la sua coscienza critica. I due rifletteranno bonariamente su chi potrebbe essere il destinatario della somma vinta con il Nobel: Beckett intenderebbe appianare con una donazione i sensi di colpa per un’esistenza che gli sembra mal spesa proprio nell’atto in cui raggiunge il suo apice. Inizia qui una serie di flashback in cui il protagonista ripercorre la propria vita, a partire dai primissimi ricordi: dal rapporto di complicità con il padre (Barry O’Connor) alle lacerazioni edipiche con la madre (Lisa Dwyer Hogg); dalla fuga a Parigi per sottrarsi alla morsa materna alla fascinazione allievo/maestro per James Joyce, incontrato proprio nella ville lumière; fino agli ammiccamenti con Lucia, figlia dello stesso Joyce. Poi gli altri incontri: quello con il giovane partigiano ebreo Alfy Péron, che lo introduce alla Resistenza antinazista e ne muore dopo le deportazione in un campo di concentramento; quello con la bionda Suzanne, sei anni più grande di lui, che lo sposa e gli resterà accanto per tutta la vita; quello con Barbara Bray, giornalista e produttrice della BBC, con cui tradirà la moglie per moltissimi anni.

Il cuore del film è la memoria. Potremmo definirlo un flusso di coscienza, con il protagonista in contatto costante con il proprio io: ne ripercorriamo dunque la prima infanzia, l’educazione puritana, le seduzioni parigine, i celebri contatti artistici, la scoperta dell’amore, l’impegno nella resistenza francese, le amicizie, il denaro sempre insufficiente, il successo, i tradimenti. Il demone dell’arte non è sviscerato. Più che lo scrittore dell’assurdo, qui vediamo agire l’uomo con la sua aura di maledizione, le sue frequentazioni bohémien, la sua solitudine, le inquietudini tipicamente novecentesche. La colonna sonora vintage è giocata su gradazioni romantiche (…) Non aspettatevi il Beckett delle opere enigmatiche e paradossali. Troverete piuttosto la vita ordinaria con le sue contraddizioni, l’arte con le sue nevrosi, la fotografia pessimistica della condizione dell’uomo, i moti repressi dell’animo. E lampi di tragico umorismo. “Prima danza, poi pensa”, recita il titolo. Si potrebbe obiettare che questo film non perde mai del tutto la testa. Ma forse è proprio questo il paradosso che l’autore ha voluto evidenziare: vivere la vita mai nella pienezza; lasciarsi sfiorare dalla felicità senza mai possederla; inseguire simulacri di piacere per ritrovarsi con un senso d’inanità. Soprattutto, collezionare occasioni perdute: quelle che nessun successo letterario, e neppure un Nobel, potranno mai risarcire.

Vincenzo Sardelli – klpteatro.it

“Lo sai che non c’è nulla di interessante nella gioia” nel sottofinale di Prima danza, poi pensa scandisce Samuel Beckett, uno che non era proprio l’immagine della felicità, pure fisicamente (…) Suona interessante la prospettiva del film. Marsh non mostra Beckett al lavoro, che so su Giorni felici, Finale di partita o Aspettando Godot (benché il titolo venga propria da una battuta del dramma comico), semmai evoca, riuscendovi in larga parte, il mondo interiore del dublinese infranciosato, quel suo muoversi rassegnato tra ironie e rimpianti, conquiste e vergogne, combattimenti e sconfitte, “in una terra desolata dove andiamo tutti”. Il suo mantra era: “Fight, fight, fight”. C’è una bella frase che gli dice Joyce al primo incontro parigino, in un bar: “Non è importante cosa scriviamo, ma come lo scriviamo”. E già. I due grandi letterati erano, stilisticamente all’opposto, anche nelle loro pezzature: fluviale e sentimentale l’autore di Ulisse, stringato e fulminante l’autore di Molloy. E intanto, sullo schermo, Beckett e il suo doppio invecchiano e incanutiscono insieme, meditando sulla stessa esistenza da due diversi punti di vista.

Michele Anselmi – close-up.info

Bisogna partire da lontano, dall’incrocio di Samuel Beckett con il cinema quando ha scritto la sceneggiatura di Film nel 1964. L’interpretazione di Gabriel Byrne si sovrappone, come una dissolvenza, a quella di Buster Keaton di quell’opera. Come quel personaggio, fugge gli sguardi degli altri e vorrebbe essere senza nome e senza volto. Anche Samuel Beckett vorrebbe fare lo stesso quella sera a Stoccolma nel 1969 quando riceve il Premio Nobel per la letteratura e la prima frase che dice è “che catastrofe” prima di arrampicarsi nelle quinte del teatro e rifugiarsi in una zona isolata, dai contorni fantasy, dove lo attende il suo doppio. È la sua coscienza? È un’altra voce che si oppone alla sua? Da quel momento il biopic stravolto di James Marsh ricompone i pezzi della vita di Beckett dall’infanzia al rapporto con la madre, ai suoi grandi amori (Barbara, Suzanne), all’amico perduto e al rapporto con James Joyce. Gabriel Byrne è come una continua apparizione. Nel suo stravolgimento biopic, è una possibile visione come Eddie Redmayne/Stephen Hawking in La teoria del tutto. Il teatro diventa la scena della vita per arrivare, per citare Beckett stesso, al ‘finale di partita’.

Simone Emiliani – sentieriselvaggi.it

1 commento su “Prima danza, poi pensa – Alla ricerca di Beckett”

  1. Non ho visto il film ma dal trailer e dalle recensioni che ho potuto leggere mi sembra un film che ripercorra a vita travagliata e tormentata di un grande uomo costantemente in lotta ed in conflitto con se stesso maestralmente presentata con giochi di flashback . Complimenti al regista e spero proprio di poter vedere il film.

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