Kripton indaga la vita sospesa di sei ragazzi, tra i venti e i trent’anni, volontariamente ricoverati in due comunità psichiatriche della periferia romana, che combattono con disturbi della personalità e stati di alterazione. Attraverso il racconto della loro quotidianità e delle relazioni che intrecciano con il mondo il film ci porta a esplorare in profondità la soggettività umana. La condizione estrema del disturbo mentale diventa la chiave per avvicinarsi all’abisso misterioso della nostra mente e, allo stesso tempo, possibile metafora del nostro tempo. Impossibile restare inermi di fronte a questo deflagrante documentario: il reale del disagio mentale esplode attraverso la finzione.
Italia 2023 (107′)
«Nell’inverno del 2022 abbiamo trascorso cento giorni con alcuni ospiti di due comunità terapeutiche del Dipartimento di Salute Mentale della Asl Roma 1, con i loro famigliari e con il personale sanitario. Grazie alla loro disponibilità abbiamo potuto osservare e filmare alcune esperienze di vita e di cure». Kripton di Francesco Munzi inizia con questa didascalia che indica un perimetro preciso e un contesto nel quale agisce una collettività. Poi arrivano le immagini e i confini si dilatano. I luoghi sono sempre gli stessi, quelli indicati nella premessa. Ma a imporsi all’attenzione sono altri spazi, quelli della mente, che non si misurano in metri e cubature e che sono impossibili da delimitare. Tra le mura delle strutture psichiatriche, fragilità, emozioni, dolori, serenità, incomprensioni, inadeguatezze, frustrazioni, si espandono rendendo complessa ogni ipotesi di risposta a una semplice domanda: cosa siamo in grado di fare? Lo chiedono Dimitri, Marco Antonio, Okoro, Georgiana, Emerson, Silvia che pongono il quesito, ognuno con il proprio disagio, ognuno con una percezione di sé diversa da quella degli altri. Alcuni sono consapevoli di ciò che li affligge, altri no. Non sanno da cosa dipenda, perché quell’indefinibile malessere sia insorto, avvertono comunque che qualcosa non va, che non sono in sintonia con l’universo. Nella loro unicità, tutti però si confrontano con il presente e con quello che potrebbe essere il futuro immediato. Il lavoro, il cibo, la religione diventano elementi rivelatori di esistenze che avvertono un conflitto interiore ed esteriore e che non possono in alcun modo seppellire in un angolo remoto della mente, fino a dimenticarlo e rimuoverlo. E, dunque, cosa sarò domani?
Come andare avanti, è anche il dilemma di madri e padri, di sorelle e fratelli, di chi è disorientato, arrabbiato, speranzoso, combattivo, dimesso. Kripton, oltre a essere un film su sei giovani vite sull’orlo di un baratro fisico ed esistenziale, è un ottimo documentario sul mondo circostante. Su chi, per non arrendersi, vorrebbe sentirsi dire che quel giorno tutto si sistemerà. Quella frase rassicurante tuttavia non arriva. Perciò, si può solo continuare dentro un percorso che prevede passi avanti e indietro, delusioni e soddisfazioni. E in quei cento giorni dell’inverno 2022, Munzi ha osservato senza virtuosismi e tentativi di nascondere la videocamera. È stato testimone di sentimenti positivi e negativi, soprattutto di relazioni vicine a frantumarsi in mille pezzi, con una delicatezza che non è sinonimo di omissione.
Infine, a quella domanda sul che fare, rispondono psichiatri e, in generale, l’intero personale delle comunità che affrontano quotidianamente una richiesta d’aiuto sovrastante rispetto ai mezzi a disposizione. Il loro è un compito complesso, un gioco d’equilibrio tra la razionalità delle terapie e l’imprevedibilità degli ospiti e dei famigliari. Un lavoro lento che non sembra dare risultati immediati e che mette in conto l’eventualità di un fallimento o di una ricaduta. Eppure in quell’essere prossimi alla sofferenza, nell’ostinarsi ad avvicinare le parti, a stimolarle per affrontare paure e incertezze, si intravede l’ombra di un piccolo e meritato successo che politiche insensate vorrebbero cancellare con spietati tagli al bilancio.
Mazzino Montinari – ilmanifesto.it
Il documentario porta sullo schermo sei ragazzi, ragazze, donne ed uomini disgregati mostrando tutte le fasi, anche quelle più dure, del loro percorso di recupero. Munzi fa un’operazione che non ha paura di oltrepassare anche i limiti etici dell’occhio del documentarista: le interviste canoniche ai protagonisti o i momenti più drammatici dei loro colloqui con i dottori vengono rielaborati sottilmente utilizzando le tecniche del cinema di finzione (…) La malattia mentale, come dice uno di loro in una folgorante auto-diagnosi fatta con l’impareggiabile lucidità di chi ne è afflitto da anni ma ormai ha imparato ad accettarla come una parte ineludibile di sé, è “come un terremoto” o meglio, come una serie di scosse che periodicamente ma senza preavviso arriva e sconquassa la mente del soggetto costringendolo, ogni dannata volta, a rimettere insieme i lacerti del pensiero. Una vita funestata dalla maledizione di Sisifo del disagio mentale ed insopportabilmente piena solo di aritmie fisiche ed emozionali, che non consentono a ragazzi come lui di intessere relazioni sane e stabili (…) Ma il merito maggiore di Kripton è di instradare attraverso geniali contrappunti – il lavoro espressionista su foto e video familiari – ed un discorso via via sempre più dirompente la MdP su una delle cause primarie di queste forme di malattia mentale: la famiglia borghese, vero incunabolo di inquietudini relazionali tossiche. Perché dare per irrimediabilmente perso il proprio figlio a soli 24 anni, come fa la mamma di Dimitri, è un ostacolo che nemmeno Superman può abbattere. Impossibile restare inermi di fronte a questo deflagrante documentario: il reale del disagio mentale esplode attraverso la finzione.
Mario Turco – sentieriselvaggi.it
Sei ragazzi, ventenni e trentenni che lottano contro disturbi della personalità e stati di alterazione, ricoverati in due comunità psichiatriche a Roma. Accanto, gli psichiatri e le famiglie dei pazienti. In mezzo, il disagio mentale, che Francesco Munzi non addebita, allarga: non contagio, bensì condivisione, ovvero assunzione di responsabilità e sussunzione umanista. Un altro mondo possibile, anzi, un altro pianeta: Kripton, mutuato dal Krypton di Superman da Marco Antonio, quale proprio luogo natale: “Non è remotissimo, ma alquanto remoto è”, suggerisce il ragazzo, che si professa ebreo senza esserlo. Quello di Francesco Munzi è un documentario di gusto, cinematografico, e sostanza, umanissima, che risponde all’estinzione delle “domande fondamentali, universali dell’essere umano” senza infingimenti, prospettando oltre gli psicofarmaci e i servizi di salute mentale una cura collettiva, meglio, comunitaria.
Materiale d’archivio quale controcanto poetico, le musiche sinuose di Giuliano Taviani e Carmelo Travia per sprezzatura gentile, il montaggio empatico di Cristiano Travaglioli, il film è provvido di osservazioni che stigmatizzano la cattività dei normali: “Io sinceramente stimo le persone che lavorano perché – dice il paziente Dimitri – hanno il coraggio di dare del loro tempo a qualcun altro. Io non me la sento di dare il mio tempo a qualcun altro, che magari lo usa pure male”. Fondamentale, poi, l’estensione del disagio ai familiari, che non sono presenze anodine o a latere, ma investite, e pienamente, del problema: senza filtro né pastorizzazione. Non perdetelo, questo Kripton, che riconsegna Munzi là dove merita di essere: in sala…
Federico Pontiggia – cinematografo.it