Deserto particular

Aly Muritiba

Il poliziotto 40enne Daniel è stato sospeso dal lavoro ed è sotto indagine interna per eccessiva violenza. Quando Sara, la donna con cui ha una storia d’amore su Internet, smette di rispondere ai suoi messaggi, Daniel si imbarca in un viaggio in macchina alla sua ricerca, verso Bahia, nel nord del Brasile. Inizia quindi a mostrare la foto di Sara in giro, ma nessuno sembra riconoscerla. Fino a quando compare una persona che afferma di potergli organizzare, a determinate condizioni, un incontro con chi sta cercando. Un intenso road movie, una sofferta storia d’amore in bilico tra il virtuale e il reale, tra desiderio e ricerca di identità.

Brasile 2021 (120′)

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  Si viaggia dal Sud al Nord del Brasile, due spazi geografici ed emotivi molto diversi, nel nuovo lungometraggio del regista brasiliano Aly Muritiba, Deserto particular, proiettato in prima mondiale alle 18me Giornate degli Autori di Venezia. Un dramma sentimentale sotto forma di road movie che conduce il suo protagonista alla scoperta di un lato di sé inconfessabile, e che con una buona dose di suspense tiene viva l’attenzione dello spettatore. Al centro dei pensieri di Daniel (Antonio Saboia) c’è sempre lei, Sara, una donna conosciuta in chat e che non ha ancora mai incontrato, poiché vive dall’altra parte del Paese. Eppure l’uomo, un agente di polizia sospeso dal servizio per aver aggredito una recluta, avrebbe ben altro a cui pensare: il processo che lo attende, per esempio (e di cui parlano anche i telegiornali), così come l’assistenza al padre malato, un ex militare che non parla più e che ha bisogno di cure costanti. La prima parte del film segue Daniel nel suo grigio quotidiano, alla ricerca di lavori estemporanei come buttafuori in discoteca e alle prese con sua sorella che vorrebbe sistemare il genitore in una casa di cura, e che oltretutto, disapprovata nettamente da suo fratello, si è innamorata di una donna. L’unica che riesce a far sorridere Daniel è Sara, con cui l’uomo scambia messaggi e foto sul cellulare. Un giorno però, all’improvviso, la donna smette di rispondere al telefono e sparisce. Daniel decide quindi di mettersi in macchina e di partire verso Nord, mollando tutto, anche suo padre, e di andarla a cercare, a tremila chilometri di distanza. Ed è lì che il regista sembra voler far cominciare davvero il film, posizionando i titoli di testa dopo circa mezz’ora di visione. Arrivato a destinazione, Daniel tappezza la cittadina dove vive Sara di poster con la sua foto, sperando che qualcuno la riconosca e gli indichi dove trovarla. Un uomo in effetti lo chiama e gli dice di sapere dove si trova la ragazza, ma senza aggiungere molto altro.
A metà film, cambia la prospettiva, in tutti i sensi. Vediamo chi è veramente Sara ed entriamo nel suo quotidiano, nella sua doppia vita. Nel frattempo, Daniel ha rintracciato al telefono la sua amata e, sempre più insistente, chiede di incontrarla. Sara non può più sottrarsi. Deserto particular è la storia di un incontro inaspettato, che rimette in discussione le certezze di un uomo, provocandogli delusione, rabbia, fino a scatenare la sua aggressività, per poi gradualmente riconnetterlo con se stesso e con i propri sentimenti. È la storia di un incantesimo che si rompe, di una relazione impossibile che vede due anime sospese tra l’amore e l’odio, ed è l’incontro tra due mondi distinti: il Sud del Brasile, freddo e conservatore, e il Nord, più soleggiato e progressista. Il tutto è trattato con grande delicatezza ed è sorretto dagli intensi interpreti (al fianco di Antonio Sabola c’è Pedro Fasanaro), per un film intonato che interroga sul concetto di libertà personale e sul peso delle proprie gabbie mentali.

Vittoria Scarpa – cineuropa.org

Non dev’essere stato facile realizzare questo film nel Brasile attuale dominato dal maschilismo del negazionista Bolsonaro e anche solo per questo il film di Aly Muritiba meriterebbe attenzione. La sceneggiatura non si concentra solo sulla dinamica amorosa del protagonista ma descrive, con ampiezza di particolari, il contesto sociale sia suo sia, più avanti nel film, di Sara. La vita con il padre ex poliziotto ora bisognoso di assistenza, la perdita del lavoro, la pulsione violenta che lo ha dominato nei confronti del sottoposto sono tutti elementi che definiscono la personalità di Daniel. Così come accade per Sara, maschio di giorno e femmina di notte, anche lui convivente con un’anziana, la nonna che secondo il padre avrebbe dovuto raddrizzarlo. Muritiba li segue entrambi con i loro cedimenti, con i loro timori e anche, soprattutto per Daniel, con la necessità di confrontarsi con una scelta fondamentale. La camera lo accompagna nelle variazioni dei sentimenti senza mai indulgere in preziosismi fini a se stessi e senza (ed è un pregio) mai sovrapporsi ai personaggi. Ai quali viene lasciata per intero un’umanità anche contraddittoria ma proprio per questo veritiera e possibile. Il deserto privato di un titolo che compare molto avanti nel film è quello di una società in cui il presidente si fa fotografare armato ma che comunque non rinuncia all’ipocrisia del perbenismo in una molteplicità di campi. Senza assumere i toni della denuncia il film invita a riflettere in modo non superficiale.

Giancarlo Zappoli – mymovies.it

Non avevamo mai sentito parlare del quarantaduenne regista brasiliano Aly Muritiba, molto celebre in patria dove ha ricevuto un gran bel po’ di premi, con alle spalle una ricca produzione cinematografica e televisiva. Piano piano Muritiba si sta affermando anche fuori dal Brasile, il suo ultimo lungometraggio Ferrugem (alle lettera: Ruggine), risalente al 2018 era stato presentato ed elogiato a Sundance e aveva anche conosciuto un breve passaggio al Giffoni Film Festival. A giudicare da questo Deserto particular (in italiano Deserto privato), incluso nella selezione veneziana delle Giornate degli Autori, possiamo a ragion veduta affermare che si tratta di un autore di tutto rilievo, capace di raccontare una vicenda delicata senza (quasi) mai scadere nel patetico, riprendendo e variando almeno due importanti generi della storia del cinema mondiale e anche sapendo fornire un quadro plausibile del proprio paese e delle sue contraddizioni fra modernità e atavismo. Daniel (Antonio Saboia) lavora come poliziotto a Curitiba, nel sud del paese, ma è stato sospeso per un episodio che nel corso del film non verrà mai del tutto chiarito, a quanto pare, ha aggredito pesantemente una recluta durante un addestramento, un procedimento penale pende sulla sua testa. Non si può dire che il resto della sua vita brilli in modo particolare: vive con il padre che si aggira in uno stato pressoché vegetale, salvo improvvise accensioni, la più inquietante e significativa delle quali resta una breve scena in cui si veste di tutto punto con la sua divisa militare armeggiando una pistola, il figlio del resto lo apostrofa continuamente con l’appellativo “Comandante!”, un dettaglio, questo, che molto dice sulle imposizioni superegoiche in cui è cresciuto il figlio e, chissà, forse anche della carriera professionale abbracciata. Anche il rapporto con la sorella più giovane, pur qua e là tenero e disincantato, non sembra del tutto risolto. E poi c’è Sara, la donna con cui Daniel ha una relazione virtuale che vive in una città all’altro capo del paese, con cui chatta, con cui scambia foto anche molto osé. Che però a un certo punto smette di farsi viva, la goccia che fa definitivamente saltare il precario equilibrio di Daniel. Solo dopo questo lungo prologo di una trentina di minuti compaiono i titoli di testa, sulle immagini di Daniel che prende il suo pick-up e decide di attraversare il paese alla ricerca di Sara. Una mezz’ora fatta di un linguaggio cinematografico, preciso e allusivo al tempo stesso, con una descrizione – che resterà per tutto il film – notevolissima degli interni di cui ti sembra di sentire l’odore, con la capacità di definire attraverso pochissimi gesti e pochissime parole la relazione fra le persone, estremo equilibrio, grande parsimonia, in altre parole: scrittura.

Dopo questa prima mezz’ora ha inizio il road movie (è questo il primo genere a cui il film intende con tutta evidenza richiamarsi), ovvero l’attraversamento del paese, dalla città alla campagna, dal sud al nord, anche passando per zone davvero desertiche (anche se il deserto, di cui al titolo, è prevalentemente un altro, privato appunto, che appare necessario attraversare). Come tutti i road movie che si rispettano anche il viaggio compiuto in questo film è un viaggio dell’anima, un viaggio dolorosissimo alla conoscenza di sé. È quanto comincia ad accadere, quando apparentemente arrivato alla meta, ovvero nella cittadina di Sobradinho, celebre per una gigantesca diga sul Rio san Francisco, nel Nord-Est del paese (a tremila chilometri di distanza) si mette in cerca di Sara, scoprendo che Sara non è Sara, o meglio non è solo Sara, ma è (anche) Robson (Pedro Fasanaro), un ragazzo che nella sua identità social ha assunto fattezze femminili. Qui, con estrema nonchalance, il film sposta il suo punto di vista privilegiato sul co-protagonista, raccontando con la medesima delicatezza e attenzione ai particolari la vita quotidiana del ragazzo che lavora ai mercati generali, che ha un amico e confidente gay (interpretato dall’ottimo Thomas Aquino), capace di dichiarare fino in fondo la propria diversità, e una nonna a cui è stato affidato il compito di “guarire” Robson, che gli impone la frequentazione di una comunità protestante ortodossa, gestita da un pastore tremendo che evoca a ogni pie’ sospinto la presenza del diavolo. Un mondo terribile e retrivo che bisogna saper raccontare, e Muritiba lo sa fare, eccome. Non raccontiamo come va a finire la vicenda, ci piace pensare che questo film potrebbe anche ricevere una segnalazione alle Giornate degli Autori e per questa via ottenere una distribuzione che assolutamente merita. Ricordiamo solo che nella seconda parte il film si trasforma in un melodramma tutti gli effetti, e lo diventa per entrambi i personaggi. Per Daniel il conflitto consisterà nel decidere se amare Sara/Robson, anche venendo a patti con la propria introiettata idea di mascolinità oppure no. Per Robson ci sarà anche da affrontare la componente religiosa: obbligato dal pastore ad avere un incontro con un altro sacerdote che dovrebbe, di nuovo, aiutarlo a “guarire”, Robson si sente dire che la felicità e la salvezza non vanno quasi mai insieme. Nel descrivere questi conflitti autenticamente melodrammatici Muritiba dimostra un rispetto assoluto nei confronti dei suoi due protagonisti, ricorrendo a una regia empatica e utilizzando alla perfezione la colonna sonora in portoghese e in inglese (alla fine sentiamo pure Total Eclipse of the Heart di Bonnie Tyler che riassume plasticamente i conflitti dei protagonisti). Gran bel film.

Matteo Galli – close-up.info

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