1968, Parigi: l’americano Matthew (Michael Pitt), studente alla Cinémathèque française, stringe amicizia con la francese Isabelle (Eva Green) e suo fratello Thèo (Louis Garrell). Approfittando dell’assenza dei genitori, i due invitano il loro nuovo amico a trasferirsi a casa loro. Inizierà così un rapporto decisamente ambiguo tra i tre: Matthew si innamorerà, ricambiato, di Isabelle, ma dovrà fare i conti con l’amore incestuoso che lega Thèo alla sorella. Ma ciò che conta è che i tre giovani, voraci di film e di vita, imparano ad amare seguendo l’esempio dei grandi capolavori della storia del cinema: un film in cui l’atto del citare ha la stessa dignità di un’educazione sentimentale.
Italia/GB/Francia 2003 (130′)
Adattamento dell’omonimo romanzo di Gilbert Adair, un’opera raffinata in cui Bertolucci riflette sulla sostanziale utopia e le ingenuità insite in ogni rivoluzione, destinate a confrontarsi con l’amara concretezza della quotidianità e lo sfaldarsi di illusioni spacciate per certezze. Una sorta di sequel di Prima della rivoluzione (film di Bertolucci del 1964) in cui i tre protagonisti esorcizzano le loro paure e la loro inadeguatezza verso un mondo che non comprendono e da cui scelgono di isolarsi attraverso il cinema e il sesso, due strumenti di conoscenza e scoperta del proprio essere corredato dai lati più oscuri, contraddittori e perversi. Ma lo sguardo di Bertolucci sui tre giovani, sprezzanti vitalità ma impauriti da ciò che sta al di fuori della quattro mura del loro volontario esilio, è profondo soltanto a tratti, e si abbandona a luoghi comuni, a scelte musicali banalotte (da Jimi Hendrix a Janis Joplin, passando per Bob Dylan) e a un erotismo esibito in maniera un po’ compiaciuta. Notevole, in ogni caso la ricca selezione di citazioni cinematografiche, tutt’altro che gratuite (vengono riprese immagini, tra gli altri, da Scarface di Hawks del 1932, Bande à part di Godard del 1964, Mouchette di Bresson del 1967 e Luci della città di Chaplin del 1931). Buona la prova dei tre attori, specie di una splendida Eva Green esordiente e memorabile sia quando impersona la Dietrich di Venere bionda (1932) che quando si finge la Venere di Milo.
longtake.it
Piacerà agli ex sessantottini, quelli inguaribili e quelli ormai guariti, ma che l’amarcord lo fanno sempre volentieri. Ai figli dei sessantottini che invidieranno i loro babbi per il tanto sesso consumato all’epoca. Agli esegeti de L’ultimo tango a Parigi che qui ritroveranno un bel po’ di perversioni tra le lenzuola, con particolari che Bertolucci non poteva certo permettersi trenta anni or sono. Ma piacerà anche a chi ama il cinema ‘tout court’. E non solo per l’allegra presa in giro, sempre sul filo di un’evidente autoironia, del topo da cineteca. Ma anche sulla riflessione, tutt’altro che banale, della vita come sogno. Soprattutto del cinema come veicolo di sogno. I ragazzi escono dal cinemino convinti di affrontare la vita reale e invece portano nel sesso e anche nella violenza per le strade di Parigi, solo un prolungamento delle fantasie elaborate nella sala buia. Non ti liberi dal cinema, conclude Bertolucci. Ami una donna e credi di essere Cary Grant in Venere bionda. Corri incontro al manganello di un poliziotto e sei Belmondo in Fino all’ultimo respiro.
Giorgio Carbone – Libero
Qualcuno a ironizzava sul gusto di Bertolucci per le ‘prime volte’, in senso sessuale. Si potrebbe ribaltare l’argomento osservando che per un artista tutto avviene sempre per la prima volta. Ma il gioco erotico-cinefilo di Dreamers non è gratuito e tantomeno voyeuristico (come miopemente si è scritto in Francia). Perché uno schermo è sempre anche un riparo, l’incesto un estremo aggrapparsi all’infanzia. E per crescere, confrontarsi, scoprire l’altro e se stessi, quei tre giovani ipernutriti di film e di idee dovranno mettersi letteralmente a nudo, uscire dal regno delle immagini e delle parole (si parla anche molto nel film, come si faceva allora, come fa anche oggi chi ha quell’età) per entrare in quello dei corpi. Di qui l’importanza delle tante citazioni (Bresson, Godard, Freaks , Garbo, Marlene…) che sembrano germinare direttamente dal film stesso, come altrettante tappe necessarie al suo sviluppo, come fasi della metamorfosi di un insetto fantastico. Non sappiamo se tutto questo colpirà chi a quei tempi non era nemmeno nato. Ma se avessimo vent’anni non ce lo faremmo sfuggire.
Fabio Ferzetti – Il Messaggero
«Noi dicevamo spesso che avremmo voluto dare una macchina da presa a chiunque. Io lo penso ancora, così ognuno potrebbe raccontare il proprio, di Sessantotto. […] Il film è diretto più ai giovani, che allora non c’erano. Vorrei avere una macchina del tempo per poterli condurre in quell’epoca. Io non sono interessato ai film prettamente storici, non avevo intenzione di fare un docudrama: volevo, piuttosto, dare vita a un contagio e dire ai ragazzi di oggi che, se era giusto ribellarsi allora, lo è anche adesso. Nel film, la politica viene dopo la libertà e il sesso perché il ’68 non era solo politica. […] Prima di tutto, nel ’68 c’erano tante emozioni: un mix di cinema, sesso, rock’n’roll, le prime canne e poi, ovviamente, la politica.»
Bernardo Bertolucci