Dunkirk

Christopher Nolan

Seconda Guerra Mondiale. Centinaia di migliaia di truppe britanniche e alleate sono circondate dalle forze nemiche. Intrappolati sulla spiaggia, con le spalle al mare, i soldati si trovano ad affrontare una situazione impossibile con l’avvicinarsi del nemico. La storia si sviluppa tra terra, mare ed aria. Gli Spitfire della RAF si sfidano col nemico in cielo aperto sopra la Manica in difesa degli uomini intrappolati a terra. Nel frattempo, centinaia di piccole imbarcazioni capitanate da militari e civili tentano un disperato salvataggio, mettendo a rischio le proprie vite in una corsa contro il tempo per salvare anche solo una piccola parte del proprio esercito. Nolan è strepitoso nell’incatenare gli spettatori, su quella riva, insieme al suoi eroi «perdenti», a legarli emotivamente a loro, in un viaggio dei sensi emotivamente toccante

 

USA/Gran Bretagna/Francia 2017 – 1h 46′

OSCAR 2018
miglior montaggio: Lee Smith
miglior montaggio sonoro: Richard King e Alex Gibson
miglior sonoro: Mark Weingarten, Gregg Landaker e Gary A. Rizzo

È il racconto di una storica ritirata, più che un film di guerra, ma non per questo meno epico e appassionante. Un omaggio al coraggio, alla perseveranza e all’altruismo degli inglesi protagonisti di un drammatico evento destinato a cambiare il corso della storia. (…) Nolan torna a manipolare tempo e spazio, (…) e con maestria costruisce il film intorno a una struttura prismatica che non solo restituisce prospettive multiple, quelle delle diverse persone che hanno vissuto quei drammatici giorni, ma intreccia tre punti di vista e tre livelli temporali diversi, tra terra mare e cielo. (…) L’abilità del regista, che al pubblico chiede grande attenzione, sta allora nel far convivere una settimana sulla terraferma, un giorno in mare e un’ora in aria raccontando il viaggio di pochi personaggi (…), sempre in equilibrio tra accuratezza storica e intrattenimento, storia individuale e dimensione universale, linee orizzontali e verticali. (…) Il film non seppellisce le emozioni sotto l’artificio del virtuosismo registico e il minimalismo dei dialoghi, anzi, le esalta attraverso la fotografia di Hoyte van Hoytemale e le vertiginose riprese in Imax alternate a quelle con pellicola 65 mm, per allargare il formato panoramico e restituire tutta la portata epica e colossale del ‘miracolo di Dunkerque’. Il caos assordante della guerra emerge in tutta la sua devastante e convulsa potenza, la cronologia degli eventi viene più volte spezzata per consentire il raccordo tra diverse traiettorie e misure di tempo, ma il ritmo dato dal montaggio alternato resta teso e incalzante come quello di un thriller. (…) Ad aggiungere suspance all’azione contribuisce la straordinaria e complessa colonna sonora di Hans Zimmer che mescola musica, suoni e rumori contribuendo a sottolineare la sensazione di tensione, pericolo, urgenza e corsa contro il tempo.

Alessandra De Luca – Avvenire

 

Non c’è gloria, non c’è vittoria (Dunkirk fu comunque una sconfitta). Ma ti identifichi da matti coi soldatini che aspettano di essere schiacciati come formiche. Ti identifichi col comandante che quasi vede Dover in lontananza ed è attanagliato dalla paura di non arrivarci mai. E naturalmente col pescatore che non lo calcoli niente nella prima scena, ma poi diviene il simbolo di quell’Inghilterra che non si sarebbe mai arresa. Come ci arriva Nolan a immergere tutti nell’azione? Colla tecnica, vecchia come il cinema, dell’arrivano i nostri. Gli Stukas mitragliano le navi? E arrivano gli Spitfire a mettere loro il sale sulla coda. I naufraghi annaspano nelle acque? Niente paura, sta sopraggiungendo la magica flottiglia dei pescherecci. Un film come quelli di una volta, hanno scritto. Giusto. E’ tempo di ritornare a farli.

Giorgio Carbone – Libero

Piaccia o no, il war movie ha ispirato i maggiori registi (Kubrick, Malick, Coppola, Eastwood, Tarantino…), generando un numero di capolavori che pochi altri generi possono vantare. Difficile che non ne fosse tentato Christopher Nolan, cineasta prodigio di film a larga scala, punto di congiunzione tra il kolossal della Hollywood classica e il moderno blockbuster. (…) Nolan si distingue da tutti i suoi predecessori. Se ogni grande film di guerra contiene un punto di vista sulla storia (magari pacifista, come La sottile linea rossa), lui decide invece di proiettare, fin dal primo minuto, lo spettatore nel caos della guerra: un’esperienza immersiva e totalizzante, un panico controllato coincidente con quello dei soldati in rotta, tra bombardamenti, naufragi, colpi di mitraglia e quant’altro. Un po’ come nella lunga sequenza d’apertura di Salvate il soldato Ryan di Spielberg, ma protratta per tutto il film. A determinare questo risultato è decisivo il ruolo della struttura narrativa, che ripartisce l’azione in tre scenari limitrofi con tre temporalità diverse: la terra (una settimana), il mare (un giorno), il cielo (un’ora). Nolan decostruisce la trama alternando frammenti delle tre linee narrative in un montaggio complesso (viste anche le diverse durate degli episodi ), ma straordinariamente padroneggiato. Non solo gli spazi dell’azione sono sempre leggibili (per sincerarsene basta la sequenza d’apertura: il soldatino fugge da solo, traversa un avamposto di fanti belgi; poi l’inquadratura si allarga alla spiaggia, dove migliaia di soldati come lui attendono d’ imbarcarsi ); la cosa più straordinaria è che non perdiamo mai il filo dell’azione, né ci confondiamo sull’identità dei personaggi. È fuor di dubbio che Nolan scelga un approccio intellettuale alla materia, in cui alcuni hanno creduto di ravvisare un eccesso di distacco e una mancanza di sensibilità per la tragedia rappresentata. Sensazione che i fatti smentiscono facilmente. L’approccio, più sensoriale che razionale, alla materia, acquista concretezza drammatica nei gesti e negli sguardi degli attori, scelti alla perfezione: le movenze adolescenziali di Fionn Whitehead (Tommy ), l’espressione stoica di Mark Rylance (Mr. Dawson ), gli occhi del pilota Tom Hardy: il volto coperto dalla maschera a ossigeno, recita solo con quelli.

Roberto Nepoti – La Repubblica

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