Cocó, otto anni, si sente fuori posto e non capisce perché. Non si riconosce nel suo nome di battesimo, Aitor, né nello sguardo e nelle aspettative di chi ha intorno. Nel corso di un’estate nella campagna basca a casa della nonna – tra le gite al fiume, l’apicoltura e i saggi consigli di sua zia Lourdes – Cocó riuscirà forse finalmente ad affrontare i propri dubbi e le proprie paure, trovare la sua vera identità e decidere così qual è il suo nome.
20.000 especies de abejas
Spagna 2023 (125′) – edito solo in V.O.S.
BERLINO 73°: Orso d’argento miglior interpretazione
La pellicola scritta e diretta dalla regista spagnola, già autrice di pluridecorati cortometraggi, racconta la storia di Cocó, una bambina di otto anni che fatica ad accettare che la gente attorno a lei continui a chiamarla in modi confusi. Si sente fuori posto e non capisce perché. Non si riconosce nel suo nome di battesimo, Aitor, né nello sguardo e nelle aspettative di chi ha intorno. Durante un’estate trascorsa nella campagna basca a casa della nonna, tra gite al fiume, l’apicoltura e i saggi consigli di sua zia Lourdes, la protagonista inizia a esplorare la sua identità insieme alle donne della sua famiglia, che nello stesso tempo riflettono sulle proprie vite e fanno i conti con i propri desideri. Solo così riuscirà forse finalmente ad affrontare i propri dubbi e le proprie paure, trovare la sua vera identità e decidere così qual è il suo nome. Tra le righe della sinossi si intravedono quali siano le traiettorie del percorso drammatugico seguito, ma anche i colori della tavolozza utilizzati dall’autrice per tradurle in immagini e parole. Siamo nel complesso e accidentato terreno del romanzo di formazione con temi e stilemi annessi, incastonato all’interno di un dramma familiare che parla di legami e confronti generazionali. La linea orizzontale dominante è e resterà il cammino di Cocó, con la narrazione che si aprirà poi a ventaglio allargando i propri orizzonti drammaturgici e tematici anche alle dinamiche familiari. Un modus operando che riporta la mente per tutta una serie di similitudini a un altro film premiato in precedenza al Festival di Berlino, ossia ad Alcarràs di Carla Simón, anch’esso incentrato sulla vita rurale, i cambiamenti e la casa, anche se i conflitti che suscita sono diversi, ma ugualmente universali. In 20.000 specie di api si affrontano argomentazioni dal peso specifico rilevante come la pluralità, l’esplorazione e la trasformazione attraverso una narrazione ricca di sottigliezze e simboli che viaggiano sui binari della verità e della metafora, a cominciare dal numero di insetti citati nel titolo e dall’alveare che a più riprese viene chiamato in causa e messo in scena per parlare di tensioni tra l’individuo e il collettivo all’interno delle dinamiche domestiche. Il tutto mantenendo una sobrietà, una sensibilità, un’eleganza, una poesia e una leggiadria rare in un cinema sempre più proiettato verso la prepotenza di un detto e di un mostrato a tutti i costi. La cineasta di Bilbao decide invece di lavorare in sottrazione già dalla fase di scrittura, lasciando poi alla macchina da presa e alle potentissime interpretazioni della giovanissima Sofía Otero e delle più esperte Patricia López Arnaiz e Ane Gabarai il compito di trasmettere tutto ciò che c’è da trasmette allo spettatore in termini di significante e significato, compreso il magma incandescente di emozioni cangianti e stati d’animo che imploderanno sullo schermo nel potentissimo epilogo bucolico di un autentico inno alla diversità.
Francesco Del Grosso – cineclandestino.it
«Questa storia nasce dalla necessità di mettere in discussione i limiti del rigido sistema sesso-genere. È un sistema che rifiuta e punisce socialmente le zone intermedie che esistono tra due estremi. Questo rifiuto ha generato e continua a generare molta sofferenza. (…) C’è il punto di vista della figlia, ma anche quello della madre, che è il personaggio con cui mi identifico di più, per via della mia esperienza personale e della generazione a cui appartengo. Il film è il viaggio comune di queste due protagoniste. Per me l’infanzia trans è solo un altro aspetto della varietà umana, dei diversi modi di essere e di vivere che esistono nel mondo. Nel contesto del film, è la questione dell’infanzia trans a mettere in moto la famiglia, trasformando i legami e facendo emergere cose nascoste, ma non ho mai avuto l’intenzione di fare un film che parlasse solo di questo argomento, anche perché non sono io stessa una persona trans e non volevo parlare a nome di quella comunità. Mi interessava affrontare la questione dell’identità in modo più ampio e studiare come le relazioni familiari possono influenzare il nostro viaggio verso l’autodeterminazione.»
Estibaliz Urresola Solaguren
Aitor detto Cocò ha otto anni e un alter ego, Lucia: se Aitor è nato biologicamente maschio, Lucia è la femmina che il bambino ha sempre sentito di essere. La madre percepisce questa differenza in suo figlio e cerca di accoglierla, mentre la nonna, pur essendo molto affezionata al nipotino, la rifiuta tout court, e anche la comunità rurale che circonda la famiglia non è pronta a venire a patti con il concetto stesso di un’identità transgender in via di sviluppo. Durante un’estate trascorsa in campagna vicino alle arnie dei produttori locali di miele tutti dovranno confrontarsi con la possibilità che esistano ventimila specie diverse di api e almeno altrettante identità di genere, scegliendo da che parte stare nello spettro dell’accettazione di questa variegata diversità. 20.000 specie di api è l’opera prima della sceneggiatrice e regista spagnola Estibaiz Urresola Solaguren ed è già valsa l’Orso d’Argento al Festival di Berlino per la Migliore attrice a Sofia Otero, la bambina che interpreta il ruolo di Aitor comprendendone a fondo e restituendone in mille sfumature tutto il tormento identitario: un’interpretazione davvero strabiliante per sensibilità e per mimesi di genere. Come sempre a fare la differenza, oltre alla qualità della recitazione della piccola Otero, è il modo in cui Urresola Solaguren ha scelto di mettere in scena questa storia, attraverso una regia agile e inquisitiva che si intrufola negli ambienti che racconta così come nella personalità complessa dei suoi personaggi.
20.000 specie di api esplora il tema del genere non solo attraverso il/la suo/a protagonista ma anche attraverso le figure della madre, della nonna e di una zia che ha forse attraversato la stessa crisi identitaria di Aito/Lucia ma in un’epoca in cui non era possibile portarla in superficie. Ognuna di queste donne è a sua volta impegnata a confrontarsi con la propria femminilità, e questo in un contesto culturale latino che sull’argomento ha regole non scritte ma assai ben codificate. Altri tema cui il film allude sono il conflitto fra il desiderio di preservare la memoria, e dunque anche la tradizione culturale, e quello di andare incontro al cambiamento, o la vergogna sociale nel non riconoscersi nella propria comunità di riferimento che si manifesta tanto nelle minzioni notturne di Aitor quanto nella volontà della nonna di salvare dal macero solo una scultura, quella appunto intitolata “Vergogna”. Non sapremo mai quale fra le tante pulsioni contrapposte avrà la meglio, né se Aitor potrà finalmente diventare per tutti Lucia: ma è sufficiente mettere sul piatto queste questioni per cominciare a porci le domande che la contemporaneità ci mette davanti in modo sempre più frequente, e per impedirci di chiamarcene fuori.
Paola Casella – mymovies.it