Evelyne, entreneuse in un locale notturno a Montmartre con un figlio di nove anni a carico è una delle numerose donne che stanno al centro del cinema di Ophuls verso le quali il regista nutre un esplicito sentimento di compassione. Ancora una volta Ophüls mette in evidenza tutta la sua ben nota capacità di costruire complesse intelaiature scenografiche.
Sans lendemain
[b/n] Francia 1939 – 1h 22′
Entreneuse in un locale notturno a Montmartre con un figlio di nove anni a carico, Evelyn (Edwige Feuillère) incontra dopo anni una sua vecchia fiamma, il medico canadese Giorgio Brandon (George Rigaud), di cui è ancora innamorata. Per non fargli scoprire le misere condizioni in cui vive affitta una casa di pregio e organizza una costosa messa in scena.
Dolente ritratto di donna, da inserire nella lunga galleria di personaggi femminili che popolano la filmografia del maestro tedesco. Segnata da delusioni e abbandoni, Evelyn, nonostante tutto, è una eroina dell’amore assoluto: in lei il sentimento di fedeltà è tanto estremo da spingerla a simulare una realtà sognata, ricostruita nel tentativo di nascondere all’amato la sofferenza che il suo amore negato ha prodotto in lei. Nella sua totalizzante devozione amorosa, spinta fino alla soglia del martirio, ricorda la Lisa di Lettera da una sconosciuta (1948), con cui condivide diversi tratti caratteriali e le tappe di una esistenza vissuta in una profonda solitudine. Rispetto ad altri titoli del regista la messa in scena è meno sfarzosa e più modesta, forse anche per contingenze produttive, sebbene soprattutto negli ambienti del locale notturno Ophüls metta in evidenza tutta la sua ben nota capacità di costruire complesse intelaiature scenografiche. Struggente il finale, in cui il film tocca il suo vertice, fotografato da Eugen Schüfftan nei tremolanti bagliori di un’alba senza speranza e immerso in una bruma che ricorda quella di Il porto delle nebbie (1938) di Marcel Carné.
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Parigi sul finire degli Anni Trenta. Evelyne, rimasta vedova con un figlio, è costretta a lavorare come spogliarellista ed entraineuse a “La Syrène” un locale notturno a Montmartre. Un giorno incontra Georges, arrivato in città dal Canada dove lo aveva conosciuto e amato dieci anni prima. L’uomo si ferma per pochi giorni e desidera conoscere il luogo in cui lei vive. Evelyne si metterà nelle mani di un mascalzone per avere il denaro necessario ad affittare un appartamento che le permetta di fingere un benessere di cui non gode.
La sua figura si staglia dall’inizio alla fine del film sottolineata dalla presenza di una macchina da presa sempre in grado di offrire il movimento giusto per porre in rilievo gli stati d’animo splendidamente portati sullo schermo da Edwige Feuillère. Evelyne deve ‘esserci’ sempre. Come oggetto del desiderio di una borghesia maschile per la quale è anche troppo raffinata perché è necessario un po’ di disprezzo per poter passare all’azione, come le fa capire il ricco cliente che la predilige nonostante tutto. Deve ‘esserci’ anche come madre di un bambino che si fa espellere dall’istituto scolastico presso cui la madre lo ha mandato per poter stare vicino a lei. Deve tornare ad ‘esserci’ anche per Georges il quale non l’ha dimenticata e non è stato dimenticato anche se, nel frattempo, la vita è andata avanti. In realtà tutto questo le costa un’enorme fatica perché la costringe a fingere ciò che non è. Con i clienti deve mostrare una joie de vivre che non prova e con gli altri un’adesione ai codici della morale che, almeno in superficie, ha dovuto lasciarsi alle spalle.
La scena in cui infrange la vetrinetta esterna della “Syrene” per togliere la propria foto a seno nudo sintetizza la sua difficile relazione con il proprio ‘doppio’. Un doppio che, come recita il titolo originale, non ha davanti a sé un domani. Perché anche il tema della morte è ritornante nel cinema del regista (come esempio si veda il titolo Da Mayerling a Sarajevo che racchiude l’amore in una prospettiva di morte certa. Evelyne ripete l’errore del passato con Georges (mente e scompare) ma ora non riesce più a reggere il gioco, prendendo coscienza di aver continuato a vivere in definitiva in ‘una lunga morte’.
Giancarlo Zappoli – mymovies.it