Anni Settanta. In un paesino di montagna, Pietro, un bambino cresciuto da un padre duro e asfissiato dai debiti, manifesta doti misteriose: piega metalli al solo tocco. Uno scienziato americano comincia a studiarlo. Gli esperimenti porteranno Pietro a contatto col mondo invisibile, dove le leggi della fisica lasciano il passo ai desideri più profondi…
Italia 2023 (93′)
Uno dei fenomeni più curiosi degli anni Settanta è al centro di un film italiano presentato al Festival di Berlino: si tratta de Le proprietà dei metalli, esordio nel cinema di finzione di Antonio Bigini, che prende ispirazione dal caso dei cosiddetti “minigeller”, ovvero quei bambini che, alla fine degli anni Settanta, dopo aver assistito all’esibizione televisiva dell’illusionista Uri Geller, apparentemente in grado di piegare chiavi e cucchiai al solo tocco, hanno cominciato a manifestare fenomeni simili. Casi di minigeller si sono verificati un po’ in tutta Europa e due professori universitari italiani, dal 1975 al 1980, hanno condotto studi scientifici su alcuni di questi bambini, raccogliendo i risultati delle loro esperienze in un corposo dattiloscritto, mai pubblicato. Da questa curiosa vicenda ha preso liberamente e coraggiosamente spunto Bigini per questa opera prima, presentata all’interno della sezione Generation Kplus. Ambientato negli anni Settanta in un paesino di montagna dell’Italia centrale (…) Un film dal soggetto curioso, che mescola l’universo contadino a dinamiche dal sapore fiabesco…
Andrea Chimento – ilsole24ore.com
Pietro (Martino Zaccaro) è schivo, non si comporta certo da proto-eroe mutante da scuola del Professor X o Umbrella Academy. Ma è consapevole della sua facoltà. Piega chiavi e forchette e il professor Moretti (David Pasquesi) che arriva dall’Università di Bologna per “studiarlo” è l’unico che sembra credere in lui. È bella la scena in cui Pietro è semplicemente invitato a descrivere degli oggetti metallici al tatto: il ragazzo definisce “caldo, morbido e verde” un coltello da formaggio e “frizzante, blu, somiglia ad un gatto” un grosso snodo d’acciaio. Il padre vedovo (Antonio Buil Pueyo), oppresso dai debiti, invece lo ignora. E cambia totalmente atteggiamento solo quando il professore universitario ventila un premio di 20.000 dollari negli Stati Uniti per chi porti la prova scientifica di un fenomeno paranormale. Per il suo primo lungometraggio di finzione, il documentarista, sceneggiatore e curatore Antonio Bigini si è ispirato allo studio (che non è però mai stato pubblicato) del fisico Ferdinando Bersani e del docente universitario Aldo Martelli. Dirige la storia con molta delicatezza, con una sorta di poetica fragilità, lasciando molto non detto su questo ragazzino di umili origini costretto a misurarsi con il mondo degli adulti che vogliono vivisezionare le sue capacità nascoste. Una perdita dell’innocenza che è anche quella di un mondo contadino ormai sorpassato dai tempi (…) Il film di Bigini non sfoggia effetti speciali, la sua forza è l’assoluta originalità dell’idea di partenza, che apre interrogativi sul mondo “pieno di forze invisibili a cui la gente ha smesso di credere”.
Camillo De Marco – cineuropa.org
…Il fascino lieve di questo lungometraggio che riesce a fare virtù di stringatezza della necessità di un budget ridotto consiste soprattutto nel rifiuto di spettacolarizzare il caso, mostrandone con rigore la complessità, sia sul piano psicologico che scientifico. Nella freschezza con cui registra la quotidianità infantile, memore della lezione comenciniana per cui è fondamentale, per far recitare i bambini, non trattarli come tali, forse anche dell’indimenticabile Amelio di Il piccolo Archimede. Nella disinvoltura con cui gioca sulle dimensioni fisiche dei personaggi, con il professore che guarda il dodicenne Pietro dall’alto dei suoi due metri circa. Nella felice commistione delle lingue, il dialetto della nonna, l’italiano approssimativo dei bambini, quello con forte accento americano del cattedratico, o con tracce del castellano del padre, interpretato appunto da un attore spagnolo. Infine, nello sguardo discreto ma complice nel valorizzare un paesaggio scarno, di calanchi, prati e cascine dell’appennino tra le province di Forlì, Rimini e Arezzo, non così autorevole da imporsi immediatamente alla vista ma forse ancor più commovente in quanto la sua grazia é affidata alla scoperta individuale.
Paolo Vecchi – cineforum.it
“Nel mondo ci sono molte forze invisibili, ma la gente ha smesso di crederci. Il nostro lavoro serve a mostrarle a tutti“. Così il professore tenta di spiegare al giovane Pietro la natura dei suoi studi, ma non è facile per un ragazzo cresciuto in campagna comprendere a pieno cosa possa significare. Il ragazzo viene catapultato in una realtà molto diversa dalla sua, dove gli uomini, al contrario di suo padre, indossano giacca e cravatta e parlano in maniera forbita. In questo nuovo mondo Pietro dovrà riuscire a “dimostrare” le proprie capacità sotto osservazione e in una fase sperimentale. Ma può essere realmente possibile osservare e registrare un effetto paranormale? Non è esso stesso un controsenso? Ciò che emerge davvero da Le proprietà dei metalli è l’inquietudine adolescenziale che cova nell’animo del protagonista dodicenne. Un desiderio di ribellione che si percepisce nei lunghi silenzi e negli sguardi intensi del ragazzo, e che solo in alcune occasioni sembra iniziare a fuoriuscire, come negli scontri col padre e con gli amici. Il film di Bigini è a tutti gli effetti un racconto adolescenziale che utilizza il pretesto scientifico per toccare il tema della crescita in relazione alle difficoltà e ai contrasti della vita. Come il professore ripete al ragazzo in un momento di crisi; “nella tua vita capiteranno cose che non ti potrai mai spiegare, Pietro”…
Federico Rizzo – sentieriselvaggi.it