Irlanda, un remoto villaggio di pescatori continuamente battuto dal vento. Qui vive una madre che è combattuta tra l’istinto proteggere suo figlio e la propria idea di ciò che è giusto e ciò che sbagliato. Una bugia raccontata per coprirlo da un’accusa rischierà non solo di distruggere la loro famiglia, ma anche di mandare in mille pezzi il futuro di questa piccola e sperduta comunità.
God’s Creatures
Irlanda/GB/USA 2022 (100′)
A chi ubbidire? Alle leggi della famiglia che pretendono sostegno incondizionato anche a chi sbaglia oppure alla comunità con cui si divide ogni giorno e ogni scelta di vita? A dover scegliere è una straordinaria Emily Watson nei panni di una madre che in un paesino di pescatori irlandesi si divide tra lavoro e impegni domestici. Il giorno in cui, all’improvviso, torna dall’Australia il figlio Brain, alla donna torna finalmente il sorriso: per lui è disposta a rubare le gabbie che gli permetteranno di coltivare le ostriche, per lui arriva a testimoniare il falso quando è accusato di aver stuprato un’amica d’infanzia. Ma è giusta questa dedizione assoluta? Come reagiranno le altre donne del villaggio con cui divide le giornate in fabbrica? E soprattutto: Brian saprà apprezzare i sacrifici della madre? Tutto giocato sul ritratto di questa “mater dolorosa” il film delle due registe (Davis esordiente, Holmer alla sua opera seconda) arriva all’inevitabile punto di rottura sotto un cielo eternamente plumbeo, circondato da un mare che dovrebbe essere fonte di vita ma lo è spesso anche di morte. Dimenticate l’allegria fordiana de Un uomo tranquillo: in questa Irlanda cupa e drammatica c’è speranza – forse – solo per chi fugge.
Paolo Mereghetti – iodonna.it
In uno sperduto villaggio di pescatori, una storia di violenza, dolore e menzogna con la neo star Paul Mescal ed Emily Watson (entrambi straordinari). Presentato nella sezione Quinzaine des Réalisateurs di Cannes 2022 è uno dei migliori film irlandesi dell’anno. Al pari di Gli spiriti dell’isola, anche se diversissimo. Irlanda, un isolato e piovoso villaggio di pescatori. Aileen (Emily Watson), operaia in una fabbrica di ripulitura e stoccaggio di ostriche, ha una routine quotidiana sfiancante. Si divide tra il lavoro in fabbrica, la cura del suocero e del neonato della figlia Erin (Toni O’Rourke). Il ritorno a casa a sorpresa del figlio Brian (Paul Mescal), dopo alcuni anni trascorsi in Australia, ridà forza e speranza alla donna. Brian intende ricominciare a lavorare come pescatore di ostriche. Una sera madre e figlio vanno al pub a bere un paio di birre. Brian rimane a chiacchierare con l’ex fidanzata Sarah (Aisling Franciosi). Pochi giorni dopo, la ragazza accusa Brian di stupro. Chiamata a testimoniare, Aileen, collega di lavoro di Sarah, dice che quella sera il figlio era a casa con lei… Cosa è successo davvero? Fino a che punto, per amore di un figlio, è lecito mentire? Vento gelido, pioggia, acque limacciose. Gusci di molluschi intaccati da funghi. La luce (fotografata meravigliosamente da Chayse Irvin) è sporca e livida. Pare quasi assente anche di giorno.
L’andamento del film è progressivo e in crescendo. Come la marea in cui si muovono i pescatori di ostriche che non sanno nuotare.È un’antica tradizione locale: il rischio è che un uomo si possa buttare in acqua per salvarne un altro caduto accidentalmente. I suoni che accompagnano le scene sono spesso spiazzanti, mescolano musica folk tradizionale irlandese e innesti elettronici e metallici. Come una maledizione. La bugia (?) di un figlio ha un effetto domino sulle già evidenti sfortune di una famiglia intera… Se siete in cerca di un “nuovo” Spiriti dell’isola avete sbagliato sala. Là c’era Irish humor, macabro e amaro. Qui c’è solo un grande senso di sconfitta (…) Saela Davis e Anna Rose Holmer riescono a mettere a fuoco una piccola comunità chiusa – per estensione un mondo – in cui gli uomini sono alcolizzati, assenti, bestiali, egoriferiti. Le donne sono spesso madri lasciate sole con una creatura da crescere. Un affresco metaforico e disturbante sull’inesorabile declino del patriarcato.
Luca Bernabè – style.corriere.it