Gli ultimi giorni dell’umanità

Il panorama delle vicende umane incontra l’uomo con la macchina da presa… “Personaggi, situazioni e luoghi si accampano nel vissuto di un’umanità che è al contempo colei che vede e la cosa vista”. Presentato a Venezia 2022, questo monumentale (non) film deve la sua ossatura all’archivio privato di Enrico Ghezzi: una vita camera alla mano, dalla fine degli anni Settanta ai primi anni Duemila. A questi preziosi ed eterogenei materiali si sono aggiunti, in quattro anni di ricerca con il coautore Gagliardo, quelli di diversi archivi internazionali ed estratti da film di Ferrara, Debord, Sokurov, Tarr, Straub&Huillet, Syberberg, Wakamatsu, Paradžanov, Iosseliani, Bertolucci, Bene, Fellini e altri grandi autori, in un dialogo serrato e geniale tra cinema e vita, passato e presente, immagini, parole e suoni. Un’esperienza audio-visiva autentica ed immersiva.

Italia 2022 (196′)

 Non avere paura”, Aura, dice la voce di Enrico Ghezzi mentre lui e la figlia fuggono sotto i lacrimogeni di Genova 2001, l’obiettivo della videocamera registra le immagini convulse della corsa e lo spirito protettivo del padre che cerca di apparire lucido e sicuro di sé. Quanti di noi hanno attraversato i giorni di quel G8 proprio grazie all’immensa mole di materiale raccolta, messa insieme e appunto girata personalmente da Enrico Ghezzi e Fuori Orario per essere poi trasmessa nelle notti di Raitre. Una modalità di costruire un discorso (estetico, politico) attraverso l’azione diretta sulle immagini (lo spiega vertiginosamente Straub all’interno del film, quando parla della necessità del riguardare, del tornare più volte su ogni singola visione) che ritroviamo nella struttura de Gli ultimi giorni dell’umanità, dove però all’abituale gioco che alterna sequenze di cinema a frammenti di riprese dell’attualità mediatica, si uniscono schegge degli home movies di casa Ghezzi, quotidianità familiare, vacanze, e momenti di vita lavorativa raccolti per decenni dal critico e alla base dell’impalcatura di partenza del film.

 

Non avere paura, Aura, allora, anche se di paura probabilmente c’è da averne almeno un po’, in questi ultimi giorni che si aprono con una lunga contemplazione di un’eruzione vulcanica, immagini ipnotiche e strepitose di fiammate e sbuffi di fumo che riempiono il cielo, ogni tanto tra i lampi appare in sovrimpressione proprio il volto di Aura Ghezzi che ci scruta – oh, quanto ha sempre avuto ragione Kafka ne Il villaggio vicino, uno dei due brevissimi racconti che Aura recita davanti all’obiettivo in inserti realizzati appositamente per questo film: il tempo di una vita potrà mai bastarci per una simile traversata? Dalle vette del vulcano precipitiamo come un oggetto dallo spazio, fino a piombare dritti dentro l’ufficio di enrico ghezzi, con gli scaffali sommersi di libri e vhs – più in là, ci sarà spazio per un altro incendio ma più contenuto, quello di un deposito di pellicole torinese: come a dire ancora una volta che tutto si tocca, cielo e terra e Aura Ghezzi che declama il diario di Kafka (Gli spettatori impietriscono quando passa il treno) con la piccola Aura spiata a lungo attraverso il buco della serratura della sua porta chiusa di cameretta, mentre osserva chissà cosa con uno sguardo tra il concentrato, l’attonito e il commosso.

È un progetto che ha attraversato numerosi fasi e versioni, quello de Gli ultimi giorni dell’umanità (l’abbiamo seguito da vicino), partendo da un esperimento interamente basato solo sull’archivio di Ghezzi, riformulato secondo un complesso iter di montaggio (la “macchina che cattura l’eccedenza”). Il risultato finale ingloba invece fonti spurie, dalle più celebri ossessioni ghezziane come Corman o Peckinpah fino a un lungo estratto dallo spettacolo di Luca Ronconi che porta lo stesso nome del film: via via, diventa sempre più esplicito (come appunto nel monologo ronconiano) il tono apocalittico che già l’eruzione iniziale aveva annunciato – sono davvero gli ultimi giorni dell’umanità, e per terra è pieno di corone di fiori, le apparizioni dell’archivio familiare di ghezzi diventano sempre più sparute, fino a scomparire, sostituite da due brevi ritratti di enrico oggi. È come se in qualche maniera Enrico Ghezzi abbia finito così per diventare parte della materia stessa di queste immagini, nascosto in questi fotogrammi fino quasi a diventare pellerossa, già senza collo né testa di cavallo. 

I think the writing is eating up myself, ha detto Iggy Pop, e in effetti Gli ultimi giorni dell’umanità si sovrascrive, muta, reagisce ad una sorta di muscolo della respirazione filmica. Non a caso, è un film pieno di istanti di risveglio, addormentamento e corse a perdifiato: e se fosse soprattutto una fuga? Che sia dentro un film, con chi ami o addirittura perduti nello spazio profondo e qui ritornante, non avere paura. Gagliardo lavora sull’archivio di Enrico Ghezzi e realizza un’opera che sembra più di tutto una fuga dall’apocalisse attraverso le immagini, il cinema, la vita anche solo spiata di nascosto.

Sergio Sozzo – sentieriselvaggi.it

Note di regia
Nella prima pagina del diario di Franz Kafka, un appunto: “Gli spettatori impietriscono quando passa il treno”. Scorrono centinaia di ore di nastri. Enrico Ghezzi conversa con il filosofo Emanuele Severino: “Non si pensa adeguatamente la frattura vera che porta il cinema nella storia, quella che siamo abituati a pensare come storia dell’umanità. Il cinema è il primo momento in cui il mondo si rivede. Poi sappiamo che è finto, che è un trucco, che sono fotogrammi singoli, ma mentre la fotografia è un istante ghiacciato, col cinema rivediamo un cavallo, il mondo si rivede e questo di per sé è un avverarsi che non si pensa…” Cut “Se i tuoi occhi ti offendono, strappali!”, ammonisce il predicatore.

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