Italia 2023 (136′)
BERLINO – Ai primi di marzo 2020 Stefano Savona, direttore del Corso di documentario presso il Centro sperimentale di cinematografia di Palermo, arriva a Bergamo con un gruppo di suoi studenti. Sono i giorni dell’apice dell’epidemia da COVID (6000 morti in 40 giorni). Ne uscirà un documentario di due ore e mezzo, ora presentato Berlino nella sezione Encounters.
Tutti ricordiamo con angoscia e incredulità le immagini dei telegiornali con le colonne di camion militari carichi di bare da trasportare altrove, la città deserta, percorsa solo dalle ambulanze a sirene spiegate. Ma le scene più scioccanti (di cui qualcosa si sapeva dai giornali ma che nessuno aveva mai visto) sono quelle all’interno degli ospedali. Con le telefoniste esauste da turni di 12 ore che non riescono a stare dietro alle chiamate e che spesso devono dire no ad una richiesta di ricovero. “Quanti anni ha suo padre? 92?” – “Lo tenga a casa” è la risposta che, abbiamo saputo dopo, corrispondeva ad una sentenza di morte. Ma è altrettanto doloroso del dover scegliere chi far vivere o morire è il rapporto in corsia tra medici e infermieri e i famigliari a cui è vietato visitare i loro cari. Con i ricoverati intubati, incapaci di tenere in mano un telefonino, ai quali viene dato un foglietto di carta su cui scrivere qualcosa alla moglie o ai figli; la maggior parte riesce solo a vergare con mano tremula un ’Ti voglio bene’. Tutto questo è documentato nella prima parte del film, che però nella seconda assume un altro tono, forse più interessante. Il contagio è diminuito, ci sono i primi guariti, ed ecco che tra gli scampati e figli, mogli e mariti di coloro che non c’è l’hanno fatta si instaura, al di fuori degli ospedali, dopo le messe finalmente consentite, nei luoghi deputati (la Montagnola che sovrasta la città vecchia e dove opera un gruppo di volontari) una sorta di solidarietà. Bisogna uscire dall’incubo, elaborare il lutto, scambiarsi ricordi e recriminazioni,soprattutto parlare.Savona documenta decine di storie, tutte uguali e tutte diverse. Qualcuno mostra le foto o i filmati degli scomparsi, emerge comune il dramma di non aver potuto dare l’ultimo saluto e soprattutto la critica violenta alle varie autorità che non hanno voluto o saputo (dI fronte ovviamente alle forze economiche e industriali, qui particolarmente potenti) chiudere “tutto prima subito”. Al di là di qualche lungaggine nella seconda parte, Le mura di Bergamo rimane un documento storico e umano di incredibile valore.
Giovanni Martini – MCmagazine 80