Amira, una diciassettenne palestinese, è stata concepita con il seme di Nawar, trafugato dalla prigione nella quale egli è recluso. Sebbene sin dalla sua nascita il loro rapporto si sia limitato esclusivamente alle visite in carcere, il padre rimane il suo eroe. L’assenza nella vita della ragazza è però ampiamente compensata dall’amore e dall’affetto di coloro che la circondano. Tuttavia, quando il tentativo fallito di concepire un altro bambino porta a galla la sterilità di Nawar, il mondo di Amira viene stravolto…
Egitto 2021 (98′)
MED FILM FESTIVAL: Premio Amore&Psiche (miglior film) / Premio Amnesty International
L’annosa vicenda israelo-palestinese è una questione genetica. Tutto è spiegato in questa storia di cui non si può rivelare più di tanto. Ciò che è necessario sapere è che Newar è il padre di Amira ed è considerato un eroe dalla sua gente, un terrorista per gli israeliani. È detenuto, ma progetta di fare un figlio con l’inseminazione artificiale. Le cose sembrano filare lisce, ma il meccanismo si inceppa. Il regista egiziano Mohamed Diab sceglie un dramma a tinte forti, diviso tra melodramma familiare e impegno civile, per questa sua trasversale narrazione di un conflitto infinito che tanto è esteso e ramificato da trovare in ogni storia che riguardi questa guerra, affrontata con il cinema, un nuovo profilo di narrazione, una nuova suggestione per estendere l’area dello scontro, radicalizzando le posizioni a dispetto di ogni ipotesi di pace, di accordo e di riconciliazione. Amira è un film che apre un altro orizzonte e la doppia identità della sua protagonista diventa la manifestazione vivente delle eterne contraddizioni e delle contrapposizioni tra le due compagini. Amira è giovane, innamorata, passionale e con la sua caparbia volontà è capace di assorbire i drammi personali e collettivi di quei popoli. Amira rappresenta l’incrocio dei due mondi e la confusione che ne deriva. È in questa confusione di lingue e di riaffermazioni identitarie che i due popoli, divisi da credi religiosi e discutibili decisioni politiche, stabilizzano il conflitto redendolo endemico, perpetuandone le conseguenze. È la dualità insistita, di cui Amira rappresenta l’esempio vivente, lo scenario dentro il quale trovano posto due padri, due popoli, due nazioni e due possibilità, una di sopravvivenza e una che la nega. Il regista trova ancora un altro modo per raccontare gli effetti collaterali di una contrapposizione armata che dura da decenni. Diab sa offrire una lettura se si vuole originaria della guerra tra israeliani e palestinesi, pur caricando la giovane protagonista di una responsabilità che ne sopraffà l’esistenza, negandole il diritto al futuro. Ancora una volta dagli autori di quelle aree geografiche arrivano suggestioni inattese e questa in particolare sembra ricostituire una genetica del conflitto, un dna inestirpabile per i due opposti fronti, riportando all’origine, alla genesi incerta della remota separazione. Diab prende spunto dalla cronaca e opta per la negazione di ogni possibile soluzione pacificatoria, con un finale inconciliabile con qualsiasi speranza facendo di Amira il film forse più profondamente pessimista sul futuro dei due popoli e su ogni sforzo per garantire la pace.
Tonino De Pace – sentieriselvaggi.it
Mohamed Diab parte dall’elemento simbolico della capacità della ragazza di correggere le foto scattate per migliorare l’aspetto dei suoi clienti, per promuovere una riflessione sul senso della vita e dell’appartenenza nei territori palestinesi. La famiglia del padre vede ancora il fratello maggiore in clandestinità mentre il minore è stato fermato in tempo. Sono vite segnate da rancori che affondano le radici in un contrasto che la Storia ci ha raccontato e la cronaca politica e sociale di quelle terre periodicamente riporta alla luce. Si tratta di marchi indelebili che non possono essere ‘ritoccati’ come fa Amira con le foto. Quando toccherà a lei essere ‘fotografata’ in una precisa collocazione di vita sarà costretta a crescere all’improvviso perché quella realtà di separazione che sinora aveva avvertito stando al di qua delle sbarre di una prigione ora rischia di ribaltarne la prospettiva. Diab segue il percorso della ragazza e di sua madre accompagnando le svolte della narrazione con la costante attenzione della messa a confronto dei comportamenti degli uomini e delle donne. Senza ergersi a giudice ma, al contempo, senza nascondere i problemi.
Giancarlo Zappoli – mymovies.it
Il giovane regista e sceneggiatore egiziano Mohamed Diab combina con grande equilibrio i diversi piani narrativi del film, quello personale e psicologico dei personaggi principali e soprattutto della giovane protagonista, quello familiare all’interno di una società araba tradizionale e quello politico e di impegno civile. La questione palestinese è sempre centrale, ma mai in modo invadente; il film da una visione pessimista sui rapporti tra i due popoli e sugli sforzi per arrivare ad una riconciliazione o quanto meno ad un accordo di convivenza: israeliani e palestinesi sono rappresentati come due corpi estranei che non hanno nulla in comune se non l’odio reciproco e qualsiasi pretesto è utile per estendere l’area dello scontro di questo conflitto infinito. Sembra che proprio il DNA sia inconciliabile, visto il ruolo fondamentale che le analisi genetiche andranno assumendo nel corso della narrazione. Tutte queste contraddizioni e contrapposizioni ricadono sulle spalle di Amira, una ragazza di diciassette anni allevata dalla sola madre all’interno della famiglia del padre, protettiva, ma ingombrante. La sua passione per la fotografia e in particolare per l’uso di Photoshop, rappresenta il simbolo di rapporti familiari poco naturali, dove il genitore, da sempre assente, viene riunito in modo simpatico ma artificioso agli altri membri. Questa situazione di equilibrio precario si dissolve in poche ore quando la ragazza che fino ad allora era considerata da tutti la figlia del combattente per la libertà nata attraverso una “immacolata concezione” (l’inseminazione artificiale di una vergine) diventa una possibile nemica, frutto della beffa di un secondino corrotto. Da qui inizierà la snervante ricerca della propria identità, avendo perso improvvisamente quella in cui si era sempre riconosciuta e la necessità di dovere riconsiderare la proprie convinzioni più profonde; la giovane viene caricata di una responsabilità enorme che le nega il diritto al futuro…
longtake.it
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