Siamo in una Sicilia rurale, ritratta nella sua religiosità arcaica, nell’accordo tra mafia e chiesa, nell’insicurezza delle forze dell’ordine sottomesse alla criminalità organizzata. Ed è lì che la 21enne Lia, minacciata e disonorata, rifiuta il matrimonio riparatore e trascina il suo stupratore e i complici in tribunale. Nell’Italia del delitto d’onore, pochi anni prima del divorzio, la storia di una pioniera dei diritti delle donne.
Marta Savina imposta un racconto lineare e cronologico, narrando in modo scandito le tappe principali di una storia che riprende una vicenda realmente accaduta: come del resto aveva già fatto nel cortometraggio di esordio Viola, Franca del 2017, in cui la protagonista era interpretata sempre da Claudia Gusmano. «Con Claudia è stato un colpo di fulmine. Ho capito che era perfetta per il ruolo non appena si è seduta davanti a me, prima ancora di cominciare il provino vero e proprio», aveva detto già allora la regista. La conoscenza da parte della regista degli usi della regione e la presenza di un cast, tecnico ed artistico, in gran parte proveniente dalla Sicilia conferisce al film un realismo che non scade mai nello stereotipo macchiettistico del meridione ma che al contrario rende giustizia ai luoghi e agli eventi che racconta. Il paesaggio messinese di Galati Mamertino è ritratto con una fotografia delicata che sottolinea una purezza della natura che sembra intrinsecamente collegata con la genuinità della protagonista. La potenza del dialetto siciliano conferisce enfasi ai dialoghi fra i personaggi, come i genitori di Lia, interpretati da Manuela Ventura e Fabrizio Ferracane. Il risultato finale è un ritratto sensibile e rispettoso di una vicenda di coraggio ineguagliabile, forse a oggi ancora poco conosciuta, che pare dirci: se negli anni ’60 una donna di umili origini è riuscita a sconfiggere la mentalità mafiosa, cosa ci impedisce oggi di lottare per difendere i nostri diritti?
Giulia Carlei – fabriqueducinema.it
Marta Savina, nel 2017 gira il cortometraggio Viola, Franca testimoniando la sfida al potere di Franca Viola, diciassette anni nel 1966. Fanciulla di Alcamo, quello di Cielo e della sua “rosa fresca aulentissima”, che per prima rifiutò il matrimonio riparatore e trascinò in tribunale il suo stupratore. La prima ad avere contezza della gravità dell’abuso e a dargli un nome, quello vero. Incurante della “moralità” e della legge condivisa del tempo, mantenne la sua posizione e cambiò le regole del gioco il 2 gennaio del 1966. Bisognerà attendere però il 1981 perché il “matrimonio riparatore”, che estingueva il reato di stupro, venga definitivamente cancellato dal codice penale. La regista toscana torna di nuovo su questa impavida ragazza del sud, le cambia il nome ma conferma la sua interprete, Claudia Gusmano, attrice bruna e nivea, discreta e sensibile, capace di far emergere personaggi singolari come Lia, “primadonna” a denunciare l’orrore. Con la complicità di Marta Savina, Gusmano disegna un ritratto dinamico e intraprendente, una giovane donna con aspirazioni (essere attrice della propria vita e dentro un ‘quadro vivente’), con desideri precisi e affatto conformi (dissodare i campi con la pala e declinare la leva dell’economia domestica), con il gusto del dettaglio (il fermaglio) contro il ‘falso grossolano’, con la volontà di bastarsi da sola (il suo mondo guarda oltre Lorenzo Musicò). Colpita nel corpo e nella sua libertà di donna, la protagonista assume la sua esperienza che cade all’interno di un sistema di rapporti e di valori falsi. Dietro al suo rifiuto della violenza, c’è soprattutto la volontà di costruire altre relazioni sociali. Savina prende il controllo della parola e dell’immagine per dire le reazioni psicologiche e lo sconvolgimento morale che derivano da una relazione ottenuta senza consenso e senza piacere (contrariamente alla leggenda invereconda che è l’alibi maschile e che la regista sottolinea in un passaggio delicato del processo) (…)
Primadonna si concentra sul trauma, sulla necessità di lottare e di illuminare il pubblico su idee consolidate, intorno alla mascolinità e al suo potere dominante, dalla legge e dagli uomini. Al pensiero patriarcale, il film contrappone la gentilezza ‘poetica’ di un avvocato (Francesco Colella) e quella incommensurabile di un padre (Fabrizio Ferracane), per dire anche l’amore e gli slanci del cuore…
Marzia Gandolfi – mymovies.it