Decision to Leave

Park Chan-wook

Mentre indaga sulle cause della morte di un uomo, avvenuta durante una scalata tra le impervie montagne coreane, il detective Hae-Jun si trova a interrogare la moglie della vittima, una donna di origini cinesi, principale sospettata. Il rapporto tra i due diventerà sempre più stretto e il fascino misterioso della donna rischierà di far perdere lucidità all’uomo incaricato di fare luce sul caso.

Haeojil Gyeolsim
Corea del sud 2022 (138′)
CANNES 75° – miglior regia
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  A sei anni di distanza da Mademoiselle (2016), il regista di culto coreano Park Chan-wook torna dietro la macchina da presa per firmare un film dalla struttura tipicamente noir, che intreccia mistero e passione divertendosi a torturare (psicologicamente parlando) i suoi personaggi in una spirale morbosa e irreversibile che condurrà a esiti insperati. Se la componente narrativa non brilla certo per originalità ma abita consciamente i limiti di uno scheletro tutto sommato solido e intrigante, qualche limite di troppo sta nelle scelte stilistiche del regista: interessato a rendere dinamica e attrattiva la forma estetica del film, l’autore sembra infatti anteporre la sua creatività al racconto, senza mettersi invece al servizio della storia. Non si contano le intuizioni cinematografiche portate in scena ma, mentre nel perido d’oro dell’esplosione creativa di Park erano spia di un talento conscio e originale, qui sanno eccessivamente di maniera, nonostante l’eleganza generale della regia sia fuori di dubbio. L’ossessione che il film mostra nei confronti degli occhi, degli schermi e delle chat sono il simbolo di una realtà impossibile da (s)piegare al nostro sguardo, impossibile da decifrare: un tema sicuramente importante da indagare, ma che avrebbe potuto avere una lettura anche più audace. Il detective protagonista, uomo alla disperata ricerca di una verità impossibile da raggiungere, costantemente in un limbo esistenziale sospeso tra realtà e percezione distorta del mondo che lo circonda, colpisce però pienamente nel segno, così come una sequenza conclusiva di altissimo livello e che risulta il vero fiore all’occhiello dell’intera operazione.

longtake.it

 Decision To Leave ha appena fondato un nuovo genere. È fatto di un misto di elementi da detective story in cui però i personaggi stringono relazioni fatte di sentimenti fortissimi che sono i veri protagonisti (come nei melodrammi) e tuttavia tutto è raccontato in forma di commedia, ridendo tantissimo del ridicolo in cui sì infila questo serio detective innamorato della moglie del morto su cui indaga. C’è del classico, l’idea che questa donna potrebbe essere l’assassino e che essendosene innamorato il detective potrebbe non scoprirlo, ma anche del moderno, nella distruzione di qualsiasi ordine o struttura che ci possiamo attendere e nel gioco linguistico che noi ci perdiamo (lei è cinese e non padroneggia bene il coreano, cosa che porterà lui a fraintendere molto). Il dettaglio determinante è che questo è un film che non somiglia a nessun altro film e per descriverlo non si può ricorrere a paragoni. Il più giusto forse sarebbe La donna che visse due volte, per via dell’ossessione per una donna, ma non rende conto della maniera incredibile in cui è spezzettato e rimontato né dell’ironia devastante e delle risate che stimola la storia di quest’uomo integerrimo che crolla pezzo per pezzo per un amore perduto e probabilmente non ricambiato. Un poliziotto che durante uno scontro con un criminale armato finisce a discuterci e confrontarsi con lui sugli amori perduti e le donne che non li vogliono.

Ma non è nemmeno questo che impressiona in Decision To Leave, quanto la maniera in cui Park Chan-wook (diventato noto quasi 20 anni fa con Old Boy e Lady Vendetta) sa come divertirsi e divertire in quello che è un delirio di tecnica, difficilissimo da pianificare, scrivere e poi girare e montare ma così liscio e semplice da guardare e godere. Il cinema ai massimi livelli. Questa storia di un amore che distrugge è piena di piccoli momenti di grande tenerezza che spiegano come possa un uomo sposato essere così drogato dell’amore di un’altra donna e al tempo stesso di sagaci montaggi che descrivono il processo deduttivo di questa mente affilata che verrà obnubilata dall’ossessione sentimentale. Ogni pezzo del film arriva al pubblico in maniere e attraverso vie che non abbiamo mai visto, e in questa maniera lo colpisce in maniere cui non è abituato e in punti ancora scoperti.
In tutto questo delirio molto chiaro e ordinato quello che emerge, lungo più di due anni di indagini, è quanto un amore vero possa esistere solo al di fuori della tranquillità matrimoniale. Il parere più impopolare di tutti al cinema, cioè che la cura e la gentilezza di una moglie non stimolano amore ma semmai è l’indifferenza e la trascuratezza di una donna desiderata a scatenare quella tensione che, nei rari momenti in cui è sanata, dà origine a quello che definiamo un attimo di felicità sentimentale. Questo povero detective flagellato dall’insonnia, ridicolo a suo modo ma umanissimo, avrà delle scene in cui brevemente otterrà quel che vuole anche se solo per qualche minuto, e in quei momenti c’è uno dei molti segreti degli esseri umani e della breve felicità che è concesso di raggiungere.

Anche per questo non ci sono né facili formule né chiari messaggi con i quali uscire da Decision To Leave, anzi quello che rimane dopo la visione è quella stessa complicata mistura di verità e falsità con cui le vere storie ci lasciano. L’impressione è di non aver saputo ancora tutto ma di aver visto dentro la storia di un’altra persona la sublimazione di qualcosa di profondo e intimo. Capita spesso guardando i film migliori, ma quello che non capita spesso invece è riuscire a elicitare è una parte inedita di questo ragionamento, il desiderio di un tradimento, il desiderio di un amore non corrisposto, il desiderio di invaghirsi senza speranza.

Gabriele Niola – wired.it

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