La signora Harris va a Parigi

Anthony Fabian

La signora Harris pulisce le case dei ricchi. Un giorno, mentre riordina un guardaroba, si innamora perdutamente di un abito couture Dior e decide che deve averne uno tutto suo. Determinata a realizzare il suo sogno, dopo aver lavorato per tre anni ha finalmente abbastanza fondi per raggiungere Parigi: arrivata alla Casa di Dior, imparerà una delle più grandi lezioni della vita che cambierà non solo la sua visione, ma anche il futuro stesso della Maison.

Mrs Harris Goes To Paris
Gran Bretagna/Ungheria (115′)

A metà tra commedia sociale e romantica, la storia della signora Harris parte con il lancio di una monetina. Siamo nella Londra degli anni 1950, la fortuna non bussa spesso alla porta della protagonista, una signora delle pulizie che fatica ad arrivare a fine mese, specie da quando non ha più notizie di suo marito. Le clienti sono sempre più esigenti, si ‘dimenticano’ spesso di pagarla e lei tira avanti come può. Un giorno scopre nell’armadio di una di loro uno sfavillante abito di alta moda e se ne innamora. Non si innamora solo dell’abito, chiaramente, ma dell’idea stessa di poter essere finalmente vista, guardata, ammirata, considerata. Tutto parte da un romanzo scritto nel 1958, La Signora Harris di Paul Gallico. Il regista Anthony Fabian sceglie di adattarlo sullo schermo e rende ancora più potente, grazie alla suggestione della visione, il sogno della sua protagonista: un meraviglioso abito di alta moda. Lungi dal firmare una commedia che inneggi al consumismo o alla febbre per la moda, riesce a confezionare una commedia deliziosa con una sceneggiatura brillante e un umorismo gustoso. L’abito si fa quindi metafora di un riscatto agognato, del sogno di un’improbabile ascesa sociale e della temporanea sospensione di una serie infinita di frustrazioni, incombenze e preoccupazioni quotidiane. Per questo suo ‘amor fou’ la signora Harris sarà disposta a fare qualsiasi cosa. Cercherà di mettere da parte i soldi per pagarsi un volo per Parigi, sarà pronta a sfidare gli sguardi snob e i commenti classisti di chi non sa guardare oltre il suo atelier (la direttrice Claudine Colbert interpretata da Isabelle Huppert, formidabile anche in versione dramedy). E si trasformerà in una sorta di Mary Poppins capace di aggiustare, con il suo grande cuore, le vite altrui. L’attrice britannica Lesley Manville ne veste perfettamente i panni, firmando una performance memorabile e misurata in una commedia che non ha altre pretese se non intrattenere chi guarda e magari indurre a riflettere sulle persone invisibili, ma estremamente capaci e preziose, che popolano le nostre vite e città. É il personaggio più riuscito del film, gli altri – la sua amica e collega di pulizie, la modella di Dior che legge Sartre, il contabile Dior timido ma geniale – non brillano altrettanto, né per scrittura, né per originalità. Tuttavia la storia funziona, scorre, si fa avvincente e alla fine risulta difficile non innamorarsi della signora Harris e non tifare per lei, per i suoi piccoli sogni, per la sua grande rivincita che, in fondo, è la rivincita di chiunque nella vita si sia sentito invisibile o sia stato trattato come tale.

Claudia Catalli – mymovies.it

Dal tono fiabesco e pieno di buoni sentimenti da dispensare, La signora Harris va a Parigi intrattiene piacevolmente lo spettatore per le sue due ore di durata, accompagnandolo anche con un certo gusto nella Londra e nella Parigi di fine anni Cinquanta. Se l’interpretazione di Lesley Manville nei panni della trascinante sognatrice signora Harris è senz’altro buona, anche il resto del cast è sempre all’altezza della situazione. Pur essendo piuttosto prevedibile nello svolgimento della storia e per quanto in alcuni passaggi risulti un po’ troppo scontata e superficiale, quella diretta da Anthony Fabian è in ogni caso una commedia gradevole, realizzata con indubbia professionalità in tutti i suoi aspetti, che non dispiacerà a chi è alla ricerca di un film senza particolari pretese con cui svagarsi e allontanarsi dalla quotidianità.

Luca Ottocento – movieplayer.it

Nell’immaginario collettivo esiste una sorta di dogma che pare incrollabile: quello, cioè, secondo cui una trasposizione cinematografica è sempre di qualità inferiore rispetto al romanzo di partenza. La signora Harris va a Parigi è invece la prova che, a volte, la settima arte riesce a tirare fuori il meglio da un’opera di letteratura, dandole un’altra vita che, senza il mezzo cinematografico, non avrebbe. Il libro di Paul Gallico è un racconto delizioso, una breve – siamo sotto le duecento pagine – commedia incentrata su una donna che insegue il suo ideale di bellezza e che, per una volta nella vita, vuole pensare solo a se stessa, a ciò che non è utile, ma bello. Tuttavia è comunque un libro che risale agli anni Sessanta e che presenta il suo processo di invecchiamento. Per gli standard del mercato editoriale di oggi, infatti,La Signora Harris appare leggermente vecchio: non tanto per la storia, che in realtà funziona, ma per la scelta di ricorrere a un tipo di narrativa che oggi non affascina più come un tempo: (…) la maggior parte dell’azione è raccontata a posteriori, come se fosse un resoconto. Viene dunque meno quel grado di empatia che il lettore potrebbe sviluppare se si sentisse più incluso nell’azione. Un “difetto” che, invece, il film di Anthony Fabian ha risolto, aggiungendo personaggi e scene alla trama, rendendo la pellicola un vero e proprio spettacolo visivo che fa bene al cuore di chi guarda..

Erika Pomella – il giornale.it

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