Una giovane madre in difficoltà decide di abbandonare il proprio neonato in una “baby box”. Invece che essere accolto dagli assistenti sociali, però, il bambino sarà clandestinamente preso in custodia da due uomini che altri non sono che trafficanti di bambini. Quando la madre lo scopre accetta di mettersi in viaggio con loro per cercare i genitori ideali a cui vendere il piccolo… Ne nasce un road-movie surreale in cui il gruppo finisce per trasformarsi in una famiglia per caso, inseguito da due poliziotte che sono sulle loro tracce (anche per indagare su un misterioso delitto).
Corea del Sud 2022 (129′)
Dopo l’incursione nel cinema francese con Le verità (2019), il cineasta giapponese Hirokazu Kore-Eda continua il suo peregrinare al di fuori dei confini nazionali. Questa volta si sposta in Corea del Sud, dove trova al suo fianco la star internazionale Song Kang-ho, già protagonista del pluripremiato Parasite (2019). Broker è l’ennesima variazione sul tema più caro all’autore, che si dimostra uno dei migliori in circolazione nel saper raccontare e tratteggiare le tematiche familiari più delicate. Proprio come nei bellissimi Un affare di famiglia (2018) e Father and Son (2013), la storia è solo il pretesto per tematizzare l’importanza dei legami generazionali, il rapporto tra genitori biologici e adottivi, e il valore fondamentale (?) della famiglia. Le buone stelle – Broker fatica un po’ a carbuare, ma poi procede senza sbavature e con diverse sequenze intime capaci di lasciare il segno: Kore-Eda riesce sempre a toccare le corde giuste con pochi elementi senza mai ricorrere alle scappatoie della retorica. Quella che apparentemente può sembrare una scelta semplicistica, nasconde invece una grande esperienza che, come nel caso della scena all’autolavaggio o in quella sulla ruota panoramica, si dimostra essere la cifra stilistica più identificativa e al tempo stesso riconoscitiva dell’autore. Rispetto al passato, sembra che la regia sia addirittura più ricercata e minuziosa nel restituire quadri di rara bellezza, giocando con le illuminazioni al neon e con una forte contrapposizione tra luci e ombre che simboleggia l’attrito tra le diverse parti in gioco; nonostante in questo caso alcuni passaggi narrativi appaiano più scontati che in altri progetti del regista nipponico. Insomma, sia per chi da tempo segue la carriera del regista, sia per chi invece vi si sta immergendo per la prima volta, Le buone stelle – Broker è un progetto solido e paradigmatico per dialogare con un cinema sempre attento alle emozioni, dove ogni dettaglio, anche il più invisibile, contribuisce a scaldare il cuore del pubblico.
longtake.it
Woo-sung è un neonato abbandonato in una notte piovosa davanti a una “baby box”, una di quelle scatole dove in Corea del Sud, presso alcune chiese, le madri in difficoltà possono lasciare i figli appena venuti al mondo, per destinarli all’orfanotrofio e all’adozione. Il suo nome (woo sta per ali, sung per stelle) è la sola speranza che la giovane madre gli ha lasciato. Ma il giorno dopo lei ci ripensa, torna sui suoi passi, e scopre che in realtà il figlio è stato preso da due uomini che gestiscono il contrabbando di bambini, cercando i genitori giusti a cui venderli. La coppia di trafficanti (o di intermediari, broker appunto) convince la ragazza che quella sia la soluzione migliore, promettendole parte del guadagno, e insieme si mettono in viaggio alla ricerca di una famiglia disposta a pagare per il piccolo Woo-sung. Ma sulle tracce di questo strano gruppo ci sono due poliziotte in borghese, che indagano anche su un omicidio…
Per la sua trasferta coreana (impreziosita dalla presenza della star locale Song Kang-ho), Hirokazu Kore-eda sceglie una storia affine ai temi prediletti del suo cinema: la relatività della morale, la complessità dei legami familiari, il senso dello stare al mondo. E costruisce un road movie che interroga i suoi personaggi e lo spettatore sui concetti di giusto e sbagliato, nella consapevolezza che le domande sono più importanti delle risposte. Ancora una volta, la famiglia non è questione di sangue o parentela, la morale non dipende dalla legge, ma tutto si riconduce alla sensibilità dell’individuo. Partendo da un’immagine fortemente suggestiva – una vita in una scatola – il regista incasella i suoi personaggi in campi e piani fissi, dentro inquadrature ricorrenti (come nella macchina dove sono appostate le due detective), che rivelano assieme alla fotografia grigia un pessimismo di fondo. Non a caso, l’unico che riesce a guardare con speranza al futuro è un bambino, il piccolo orfano che si unisce durante il viaggio a quella “famiglia allargata” e sogna di diventare un calciatore di fama.
Ciò che come sempre stupisce del cinema di Kore-eda è la sua capacità di raccontare una storia drammatica di vite disperate con delicatezza e grazia sentimentale, che possono tradursi in scene da commedia (quando una coppia di aspiranti genitori pretende uno sconto sul prezzo del neonato per via delle sue sopracciglia) o in una preghiera laica sussurrata al buio. L’impressione è che la sceneggiatura, coi suoi intrecci narrativi, non sia sempre all’altezza di un soggetto tanto evocativo, e ostacoli talvolta la profondità dello sguardo dell’autore. Ma pur senza toccare le vette della sua filmografia precedente (come Un affare di famiglia), Kore-eda è in grado di offrire momenti di toccante poesia, come nel dialogo sulla ruota panoramica: forse solo lì, sospesi su una giostra, si può ancora immaginare un’alternativa nuova, un futuro diverso. Aprire la propria scatola all’altro, come si apre il finestrino di una macchina durante l’autolavaggio, e lasciar entrare l’acqua…
Simone Granata – cineforum.it