Forse è vero che si cresce anche con i cosiddetti “calci in culo”. Ed è altrettanto vero che quando la giostra gira veloce ci sembra di volare e non vorremmo scendere mai. E’ questo che succede a Benedetta quando incontra Amanda e decide di seguirla nel suo mondo randagio..
Italia (96′)
Benedetta adolescente senza gioia vive con la madre, il padre e le due sorelline più piccole in una periferia romana qualsiasi: la sua giornata è la scuola insieme all’amica un po’ punk, forse la sola, e quella casa dove si sta troppo stretti che la fa sentire ancora più a disagio. Un giorno sul prato stepposo di fronte alla sua finestra arriva un luna park e con la bancarelle e la giostra c’è pure Amanda, lunatica e un po’ cinica, almeno in apparenza, di cui Benedetta incrocia i passi mentre qualcuno la scaraventa giù dalla macchina. Lei lo insulta, riempie Benedetta di complimenti, che per la ragazzina è strano infatti a cominciare dalla madre non fanno altro che dirle quanto è grassa. E poi le regala una farfalla, sciogliendone i capelli, Benedetta già la ama, ma può essere davvero così semplice?
Chiara Bellosi definisce Calcinculo una «fiaba», potremmo dire allora: c’era una volta una ragazzina triste che incontra un’altra e la segue per essere felice? Prima della «storia» per la regista milanese è però una questione di traiettorie dei corpi, dei sentimenti, è qui che si posiziona muovendosi lungo quel bordo su cui i personaggi si incontrano, e disegnano il loro andare verso un qualcosa che rimane indefinito, che racchiude una possibile scoperta di sé.
Come già nel suo film di esordio, Palazzo di giustizia, anche Calcinculo – appena presentato alla Berlinale, nella sezione Panorama, e in sala il 10 marzo – vive in uno spazio di affinità e di contrappunti: l’appartamento di Benedetta pieno di gente e il camper di Amanda – «colei che è fatta per amare» le spiega – che occupa solo lei. Benedetta (Gaia Di Pietro) è sovrappeso, la madre la tormenta per questo: medici, solo foglie di insalata, quando tutti gli altri mangiano la pasta, era danzatrice non ce la fa a accettare una figlia grassa. Ma forse a farle aprire il frigorifero di notte è anche quel nodo di frustrazioni famigliari che respira intorno, la mamma che si lamenta per la fine della carriera – mai iniziata peraltro – a causa della maternità, cioè di lei, il padre che vorrebbe essere meccanico e invece lavora per il suocero. Amanda (Andrea Carpenzano) invece è magrissima, le piace sedurre giocando con la sua sessualità fluida, che anche spaventa, nessuno rimane più di una notte. E magari lei non lo vorrebbe nemmeno. In fondo sono due solitudini, anche se di Amanda non sappiamo nulla, nessuna confidenza, solo qualche intuizione di malinconia – e un bisogno di difendersi con la durezza mai spiegate, che affiorano attraverso gli occhi di Benedetta, ammaliata da chi improvvisamente le ha spalancato una possibilita di scoperte, di allegria, di una vita diversa, che la fa sentire protagonista. È appunto lo sguardo di Benedetta che guida la narrazione con quella sua fragilità sospesa tra un lato ancora infantile e una consapevolezza adulta – che poi è lo spaesamento dell’adolescenza: la realtà prende forma da lì. La roulotte diviene una scatola delle meraviglie, Amanda una maga irriverente che può essere crudele ma che sa farla sentire la ragazza più bella del mondo, e un «calcinculo», volo e pedate, eccitazione e spavento, il riassunto più semplice dell’esistenza. Le notti in macchina quando Amanda sta con qualcuno, le litigate, truccarsi insieme, baciarsi, scoprire il desiderio.
Ma l’on the raod di formazione nella regia di Bellosi – che ha lavorato sulla sceneggiatura di Maria Teresa Venditti e Luca De Bei – sposta il paesaggio sulla fisicità dei suoi personaggi, a cui rimane sempre vicinissima fino quasi a catturarne il respiro. Nei rossori della ragazzina, in quel suo gesto di sciogliersi o di legarsi a coda i capelli lunghissimi si disegna una geografia delle emozioni, con la confusione e le domande che fanno parte di un’età e sono insieme universali, senza bisogno di spiegazioni o di mostrare l’ambiente. Il mondo si manifesta nell’intimità di scontro e di vicinanza, nei bisogni e nella tristezza, tra la paura e un’improvvisa, sconosciuta energia che porterà ancora altrove. Una scommessa come quella di un film che mette da parte il «genere» del teen-movie per interrogare le possibilità del cinema nel corpo a corpo con un movimento verso una libertà che può essere anche pieno di inciampi, di cui afferra con delicatezza il sentimento, quei passaggi che sono l’imprevisto della vita.
Cristina Piccino – ilmanifesto.it