Atlantide

Yuri Ancarani

Una sinfonia d’immagini che si muove attorno alla quotidianità di un gruppo di adolescenti delle isole della laguna veneziana, una generazione smarrita, attratta dalla forza e dalla velocità a bordo di barchini truccati che sfrecciano come bolidi sull’acqua.

Italia 2021 (116′)

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 VENEZIA – Protagonista di tutti i film del regista e videoartista ravennate Yuri Ancarani è lo spazio. Quello claustrofobico dell’interno di una piattaforma per l’estrazione del gas in Piattaforma prodotto da Maurizio Cattelan e presentato a Venezia nel 2011, quello dello stadio di SanSiro vuoto (San Siro 2014), quello del deserto del Qatar in The Challenge presentato a Locarno nel 2016 e infine quello della laguna veneziana nel suo ultimo lavoro e primo lungometraggio, da lui scritto, fotografato, montato e diretto, Atlantide, proiettato a Venezia nella sezione Orizzonti.

 Si tratta, in tutti i casi di spazi, che per la loro particolarità influenzano la scelta del regista di dove collocare il punto di vista e di come muovere la macchina da presa. Se nei primi due le riprese in soggettiva di uno sguardo fantasma producevano un effetto claustrofobico e straniante e sulle sconfinate dune del deserto del Qatar si levava lo sguardo del falcone da combattimento, nel paesaggio piatto della laguna prevale una ripresa in orizzontale, che accompagna gli spostamenti dei “barchini”, protagonisti, con i loro occupanti, del film. Affascinato e incuriosito dal mondo dei “fioi dei barchini” che si vedono sfrecciare in laguna spesso accompagnati da musica a tutto volume, Ancarani si è trasferito per un lungo periodo nell’isola di Sant’Erasmo per entrare in contatto con loro e con la loro realtà.
Atlantidescrive Ancarani nelle note di regia – è un film nato senza sceneggiatura. I dialoghi sono rubati dalla vita reale, e la storia si è sviluppata in divenire durante un’osservazione di circa quattro anni, seguendo la vita dei ragazzi. Questo metodo di lavoro mi ha dato la possibilità di superare il limite di progettazione tradizionale nel cinema: prima la scrittura e poi la realizzazione. Così il film ha potuto registrare in maniera reattiva questo momento di grande cambiamento di Venezia e della laguna, da un punto di vista difficile da percepire, attento allo sguardo degli adolescenti. Il desiderio di vivere così da vicino le loro vite, dentro i loro barchini, ha reso possibile tutto il resto: Il film si è lentamente costruito da solo”


Il film cerca di ricucire la bellezza senza tempo di Venezia con il vuoto del presente. Da un lato la vera protagonista del film: la laguna veneziana, chiusa dalle isole di Sant’Erasmo e San Francesco del deserto, ai margini della città sontuosa, dall’altro Atlantide, una terra di nessuno di una generazione di giovani storditi da un luogo innaturale e troppo acquatico per un mondo contemporaneo frenetico e veloce. Giovani che consumano le loro giornate tra gare di velocità e droghe, primi amori e feste al suono di una musica rap sparata da altoparlanti, e che Ancarani pedina con telecamere di ultima generazione, ma anche sfruttando la luce della luna piena per le riprese notturne. Tra di essi l’attenzione del regista si focalizza su Daniele, sul quale costruisce uno sviluppo narrativo, che vorrebbe essere emblematico della realtà rappresentata.

Ma questa è forse la parte più debole del film, che, affidando la narrazione esclusivamente al montaggio di scene precedentemente girate, risente della mancanza di una sceneggiatura. La forza del film sta invece nel fascino delle immagini, in cui l’acqua di Venezia si sposa a meraviglia con i giochi di luci, colori, riflessi che la macchina da presa sa cogliere, nella perfezione delle inquadrature, nei colori saturi, nei movimenti di macchina che accompagnano uno sguardo che ora spazia orizzontalmente sulla laguna, ora si avvicina a corpi, volti, dettagli, creando una fusione di uomini/cose/spazio tenuti insieme dalla bellissima colonna sonora tutta techno creata appositamente da Mirco Mencacci. Alla quale si aggiunge la musica del rapper Sick Luke, che spalmandosi sui rumori dei motori, lo sciabordio dei moli, lo scampanare dei campanili, invade tutto lo schermo con il sottofondo dell’Hip Hop.

Un amalgama di immagini, luci e suoni che riesce a dare un ritratto inconsueto della città più filmata e fotografata del mondo, producendo nello spettatore un effetto ipnotico che lo accompagna fino agli ultimi dieci minuti del film, in cui un’improvviso capovolgimento dell’asse della prospettiva lo fa precipitare in una visione quasi psichedelica del mondo capovolto, dai confini incerti, in cui ciò che sta sopra e ciò che sta sotto la superficie dell’acqua si confondono.

Cristina Menegolli – MCmagazine 69

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