La ragazza con il braccialetto

Stéphane Demoustier

Lise ha 18 anni e un braccialetto elettronico alla caviglia. Accusata due anni prima del presunto omicidio della sua migliore amica, attende il processo a casa dei genitori che la sostengono, ciascuno a suo modo, interrogandosi sulla maniera migliore di fare fronte al dramma familiare. Il destino si giocherà in tribunale tra accuse e difese, confessioni e testimonianze che finiscono per rivelare una vita intima dell’imputata inattesa e sconcertante, e rendono difficile discernere la verità.


La fille au bracelet
Francia 2019 (96′)

Lisa ha 18 anni e un braccialetto elettronico alla caviglia. Accusata due anni prima del presunto omicidio della sua migliore amica, attende il processo a casa dei genitori. Bruno e Céline la sostengono, interrogandosi ciascuno a suo modo sulla maniera migliore di fare fronte al dramma familiare. Bruno è un padre proattivo, Céline una madre bloccata davanti al destino della figlia. Un destino che si gioca in tribunale tra accuse e difese, confessioni e testimonianze che rivelano la sua vita intima e rendono difficile discernere la verità. Chi è veramente Lisa? Conosciamo veramente chi amiamo? Come capire che esiste sempre un’altra verità? In piedi davanti a un crimine che giura di non aver commesso, Lisa aspetta (forse) impassibile il giudizio della corte.

Se il titolo di un film è sempre un indizio, quello di Stéphane Demoustier rivela una suggestione artistica. Classico come un quadro di Leonardo (“La Dama con l’Ermellino“) o di Vermeer (“La ragazza col turbante“), enfatizza un dettaglio folgorante (un braccialetto) che àncora la protagonista al sospetto. La fille au bracelet è il ritratto di un’enigmatica adolescente di cui non sappiamo ne sapremo mai niente. Frontale al centro della scena e dietro il vetro della cabina degli imputati, Lisa ci guarda ma non si lascia scoprire. Alla maniera di Leonardo e di Vermeer, Demoustier disegna una donna-bambina, lasciandoci ammirare quello che non si può vedere, l’inconoscibile che rifiuta di ridursi a conosciuto (…)
Il dispositivo elettronico che gli imputati agli arresti domiciliari devono indossare è il segnale di allarme di un ‘arresto’ che ha isolato un adolescente e colpito al cuore la sua famiglia. Un padre e una madre che scoprono, di fronte alle evidenze di una vita della figlia ben più complessa e affollata di quanto credessero, che esistono altre verità. Spazi e segreti, parti di lei che crescono in sordina, che sfuggono, che li tengono lontani. E nel corso del processo, Bruno e Céline prendono coscienza di questo, che no, non li conosciamo mai del tutto i nostri figli. Seduti sui banchi del tribunale arrivano progressivamente ad accettare che persino fra gli esseri umani più uniti persistono distanze infinite e che si può addirittura amare quella distanza. Uno scarto che l’avvocato della difesa perora nell’arringa finale (…)

Demoustier segue da vicino i personaggi che ha creato, che hanno un’eco nella cronaca ma che per riguardo gli sfuggono. Senza giudizio o spiegazione, l’autore prova a comprendere l’essere umano e il meccanismo mentale opaco della sua giovane accusata, di cui cattura i segnali esteriori, dai più infimi ai più esemplari. Se il soggetto del film è un abisso, la forma impressiona per la sua concisione quasi geometrica che fa respirare gli interni, trasformando la crisi, il dolore, la vita che cade in una possibilità. Come diceva Hannah Arendt, gli esseri umani non sono fatti per finire, sono fatti per cominciare..

Marzia Gandolfi – mymovies.it

 

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