Undine è una giovane storica che lavora come guida museale a Berlino. Affranta dopo che il suo amato Johannes ha decide di lasciarla, incontra però Christoph, un palombaro venuto a visitare il museo, e se ne innamora perdutamente. La nuova storia d’amore permette e Undine di invigorirsi e ricostruire se stessa, proprio come la sua città che non si è mai spezzata… Un’avventura sentimentale pronta a sfociare nel soprannaturale, compenetrando l’antica mitologia del folklore germanico con la modernità architettonica della Berlino contemporanea.
Francia/Germania 2020 (90′)
BERLINO 70: Orso d’argento – miglior attrice ( Paula Beer) / Premio FIPRESCI
Film della Critica – SNCCI
Undine teme Johannes lo lasci per un’altra e lo minaccia di ucciderlo, ma in un attimo lei si innamora di Christoph. Un film come un’opera di Picasso, senza linearità, spiazzante e geometricamente sghembo. Il mito dell’Ondina, l’acqua, l’amore e il tradimento. Ancora una volta Paula Beer e Franz Rogowski, in un melò destrutturato, fuori da ogni sintomatologia realistica, straordinario nel non essere mai banale, come tutto il cinema di Petzold, qui forse al suo film più “semplice” e proprio per questo più rischioso. Ecco volendo trovare un piccolo difetto, forse c’è un eccesso di simbolismo, dal palombaro al modellino della Berlino che si ricongiunge dopo la caduta del muro (lei è guida allo Stadtmuseum), ma grazie al cielo finalmente un film che viaggia inquieto per strade e incroci inaspettati, tra Bach e i Bee Gees. Bellissima la scena dell’acquario, incontro fatale. Per ora il film più meritevole dell’Orso.
Adriano De Grandis – Il Gazzettino
C’è l’acqua e c’è la pietra, realtà fluida e realtà solida nello spazio offerto da Berlino, la città che più di qualunque altra è spazio stratıfıcato di Storia e di storie, reticolo urbano di edifici resistenti, ricostruzioni, reincarnazioni. Undine (in Concorso, tra i migliori, alla Berlinale 70) è un film sospeso tra questi elementi, scritto da Christian Petzold con la leggerezza dei miti che cristallizzano il loro significato nella pulsione elementare di cui sono traccia. Nel caso specifico c’è il mito dell’Ondina, ben solido nella tradizione tedesca, un po’ ninfa e un po’ sirena, benevola e intransigente allo stesso tempo, bisognosa dell’amore dell’uomo e pronta a ucciderlo se l’uomo la tradisce. Undine Wibeau, la protagonista del film, lo dice al suo Johannes, che la sta lasciando per un’altra donna: se vai via dovrò ucciderti. Ma poi il destino la salva, perché le fa incontrare subito Christoph, palombaro romantico e impacciato che ha l’aria un po’ keatoniana di Franz Rogowski. Tra i due è passione istantanea e felicità vera, questione di fluidità, di acqua alla quale appartengono entrambi. Però Undine è anche una storica, una donna di terra, che conosce e studia la storia di Berlino, la stratificazione di urbanistiche reincarnazioni della città, gli edifici storici ricostruiti quelli eretti dopo la caduta del Muro… Il suo lavoro è raccontare questa biografia tetragona della città di pietra, alla quale appartiene tanto quanto appartiene all’acqua, a quel mondo subacqueo in cui Christoph la porta.
Undine ha questa duplice connotazione, vive di questa cangiante identità: terra e acqua, Storia e Mito. Christian Petzold continua a cercare le sue storie nella sospensione tra mondi paralleli, stratificati nel rapporto mobile tra personaggi, storie, posizioni, definizioni. Era già così in Barbara, in Il segreto del suo volto, in Transit, tutti film che insistono proprio sul lavoro di sovrapposizione tra stati esistenziali, tra condizioni di appartenenza e tradimento, tra mondi paralleli, sistemi opposti. In Undine c’è poi la traccia di una passionalità fantasmatica, in cui i corpi e le figure sfumano nella loro definizione reale assieme all’innamoramento di cui sono interpreti. La linea di passaggio tra possesso e appartenenza è fluida perché scavalca la dimensione della realtà in quella del sogno, esattamente come trapassa tra paura e desiderio o verità e immaginazione. Allo stesso modo la collocazione del film è ambigua nel suo sentire la trasparenza dell’acqua esattamente nella stessa maniera in cui percepisce la solidità della città. Petzold fa insomma un film magnificamente in transito, che non appartiene a nessuno dei mondi in cui si colloca e che non si colloca in nessuno dei mondi cui appartiene. E poi è un’opera di corpi e di fantasmi, ma anche di Storia, perché Berlino resta il luogo in cui il film, in ultima analisi, si colloca: la reiterazionedelle narrazioni della città ripetute da Undine ai turisti è il contrappunto storicistico alla indefinitezza del mito cui la ragazza appartiene…
Massimo Causo – duels.it
Confermandosi tra i cineasti più originali e narrativamente audaci del presente, Christian Petzold attinge alla mitologia nordica per regalarci una nuova struggente storia d’amore. Sullo sfondo di una Berlino in perenne trasformazione, tra leggende rivisitate, presagi e ossessioni, Undine e Christophe sono gli eroi tragici di un melò che sfida il destino, sospeso tra la terra e la profondità degli abissi, oltre la vita, oltre la morte.