Un’opera che vuol essere il bilancio di un’esistenza in cui l’autore rievoca due vicende familiari analoghe, complementari e consecutive: la propria infanzia con la madre e la sorellina dopo che il padre li aveva lasciati; sé stesso adulto, che si è separato dalla moglie e dal figlio. Attori che interpretano ruoli speculari, passato e presente che si intersecano così come realtà e sogno, colore e bianconero, pubblico e privato… Di non facile comprensione, come lo è spesso la vera poesia.
Zerkalo
URSS 1974 (105′)
La medesima attrice (M. Terechova) impersona la madre e la moglie Natalja, come è lo stesso il piccolo che fa Tarkovskij bambino e suo figlio Ignat. Il padre si vede poco e dell’autore adulto si sente soltanto la voce. Nella rievocazione s’intersecano passato e presente, realtà e fantasia (sogno), colore e bianconero, rimorsi privati e graffi pubblici. Astruso? No, difficile come lo è spesso la vera poesia. Il quarto film di Tarkovskij continua il discorso dei precedenti: l’infanzia, l’atrocità della Storia e della Politica, la sua contestazione in nome dell’uomo e dei suoi bisogni, il rapporto tra uomo e natura, la rivalutazione di una terrestre religiosità, il senso di colpa. Tra momenti di incanto panico e passaggi onirici si staccano episodi “in prosa”, narrativamente più compatti. “Nel vetro appannato del suo alito spiritualista, la Russia è un lungo dialogo tra storia e memoria” (Stefano Reggiani). L’autore ribadisce la sua idea del cinema: l’arte di scolpire il tempo.
Il Morandini – dizionario dei film
Jurij (Yuriy Nazarov), giunto a quarant’anni e separato dalla moglie (Margarita Terekhova) fa un bilancio della propria vita. Il ricordo va all’infanzia quando fu costretto a crescere senza un padre. Arrivato al suo quarto lungometraggio,Andrej TarkovskijTarkovskij firma il suo film più personale e autobiografico, scandito dalle poesie di suo padre Arsenij. Il parallelismo tra Jurij e il genitore è chiaro – entrambi hanno abbandonato la famiglia – ed è evidente sin dalla scelta di far interpretare la madre e la moglie del protagonista alla stessa attrice: la brava Margarita Terekhova. In questo suggestivo viaggio nella memoria, la dimensione individuale del personaggio si alterna a quella collettiva della Russia, segnata dalla guerra e dalla repressione stalinista.
A volte l’andirivieni temporale, in cui si mescolano anche materiali di repertorio e inserti surreali (la notevole scena della levitazione), è un po’ macchinoso, ma la potenza delle immagini è talmente forte che ci si lascia ugualmente trascinare in un flusso visivo di enorme fascino. Il regista modifica le tonalità dei colori, disorienta chi guarda e sperimenta anche con il montaggio e i suoi ritmi: il risultato è uno stratificato stream of consciousness, che lascia costantemente alle immagini il compito di narrare la (non) storia che c’è alla base. Per Tarkovskij può essere stata una seduta di autoanalisi; per lo spettatore un film ostico ma di grande spessore. Tra i momenti da ricordare, svetta il magnifico piano-sequenza che si chiude mostrando un incendio.
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