Silence

Martin Scorsese

XVII secolo. Padre Sebastian Rodrigues e padre Francisco Garupe, due giovani missionari gesuiti portoghesi, intraprendono un lungo viaggio, irto di pericoli, per raggiungere il Giappone e andare alla ricerca del loro insegnante e mentore scomparso, padre Christovao Ferreira. I due missionari sono inoltre incaricati di diffondere il cristianesimo, ma mentre esercitano il loro ministero tra gli abitanti di un villaggio, sono testimoni delle persecuzioni ai danni dei Cristiani giapponesi… II silenzio (apparente) è ovviamente quello di Dio, che (da sempre) mette a dura prova anche le fedi più rocciose. E “roccioso” è questo imponente film sul dramma della fede: Scorsese firma un’opera indubbiamente sentita e voluta per la quale opta per una messinscena lineare, lenta, dilatata, puntando molto sugli aspetti intimi. Se ne esce divisi fra opposte sensazioni. Quella di non aver capito tutto, e quella di aver afferrato fin troppo bene il messaggio. La severità di Silence sarebbe piaciuta a un maestro come Carl Theodor Dreyer

USA 2016 – 161’

Si capisce che il regista di Mean Streets e L’ultima tentazione di Cristo volesse portare sullo schermo Silence da decenni. Ed è quasi un peccato che ci sia riuscito solo oggi. Con i tempi che corrono infatti il romanzo pubblicato nel ’66 dal cristiano giapponese Shusaku Endo (…) sembra alludere alle guerre più o meno di religione che insanguinano il pianeta. E tutto sia pur filmato con stile ieratico e sapiente da uno Scorsese sorvegliatissimo, suggerisce paragoni inevitabili ma anche fuorvianti. (…) Ma il cuore dell’ambizioso quanto irrisolto ‘Silence’ è altrove. È in questa parabola che sembra ripercorrere quella di Gesù (c’è anche un Giuda nipponico, traditore e insieme agente del destino), come appunto crede il personaggio di Garfield, salvo poi ribaltarsi nel dubbio più destabilizzante. O forse è in quell’impossibile incontro tra i due missionari (ma Driver chissà perché sparisce quasi subito lasciando il campo all’acerbo Garfield) e quella civiltà sofisticata ma pronta a difendersi con ogni mezzo dall’arroganza dei colonizzatori cristiani. È anche questa voluta ambivalenza a rendere a tratti faticoso, malgrado le molte scene mirabili, questo film solenne, complesso ma qua e là perfino didascalico, che cerca di abbracciare le prospettive più diverse, anche visivamente (da Kurosawa a Pasolini senza dimenticare il miglior Malick, che occhieggia dietro la bellezza ‘divina’ di gatti e lucertole). Ma più che alla visione del mondo e agli inevitabili rovelli dei cristiani, curiosamente, regala forza e fascino ai molti personaggi giapponesi, i migliori in campo, e non solo per merito degli attori ma della sceneggiatura (da citare almeno l’inquisitore mellifluo Issei Ogata, straordinario, e il martire sugli scogli, il grande regista di Tetsuo, Shinya Tsukamoto). Se ne esce divisi fra opposte sensazioni. Quella di non aver capito tutto, e quella di aver afferrato fin troppo bene il messaggio. Il peggior nemico della fede è il fanatismo, in ogni epoca e paese…

Fabio Ferzetti – Il Messaggero

 

Ci sono film che solo certi registi si possono permettere. Uno è senz’altro Martin Scorsese, che una carriera costellata di capolavori autorizza a fare un po’ quel che vuole. Cosi Martin ha potuto utilizzare un grande cast, un pluripremiato professionista come Dante Ferretti e un ricco budget per creare un film grave e intransigente, che non accarezza mai il pubblico nel senso del pelo. E comunque anche lui ha dovuto attendere molti anni, perché il progetto di adattare il romanzo dello scrittore cattolico giapponese Shusaku Endo lo coltivava già dai tempi dell’ Ultima tentazione di Cristo. Se con quel film, da alcuni giudicato provocatorio, il regista indagava il dissidio tra fede e tentazioni della carne, con Silence si piega invece su un argomento che da sempre ossessiona l’ex-seminarista Scorsese: il silenzio di Dio. (…) Silence è un film di una bellezza inquieta e insieme sommessa. Spesso le immagini sono avvolte nella nebbia; però acquistano una grande potenza drammatica nelle sequenze di martirio (…) e, talvolta, sfumano nell’onirico, come nella scena del villaggio distrutto popolato solo di gatti. Certo non è un film per tutti i gusti, la sua severità sarebbe piaciuta a un maestro come Carl Theodor Dreyer…

Roberto Nepoti – La Repubblica

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