Australia, primo Novecento, giorno di san Valentino. Quattro aristocratiche collegiali in gita a Hanging Rock spariscono senza lasciare traccia. Una di loro, Edith, ricompare qualche giorno dopo ma non sa dire nulla su quanto sia accaduto alle altre. Nel frattempo, vari eventi getteranno una luce fosca sull’intero istituto in cui studiano e, in particolare, sulla sua direttrice, Mrs. Appleyard.
Picnic at Hanging Rock
Australia 1975 (115′)
Basandosi sull’omonimo romanzo (1967) di Joan Lindsay, a sua volta ispirato a fatti realmente accaduti, il trentunenne Weir, al secondo lungometraggio, ha centrato uno dei risultati più alti di tutta la sua filmografia. Regia avvolgente, montaggio fluido, scenografie e costumi accurati (che concorrono a ricreare un’epoca, non solo a stendere una patina storica sull’intreccio), sontuosa fotografia (Russell Boyd) che esalta lo splendido paesaggio selvaggio, evocativa colonna sonora che suggerisce la enigmatica atmosfera: tutto concorre a creare una situazione di mistero e immobilità, in cui i canoni tipici del giallo vengono raffreddati e la suspense sfuma in una vicenda dai tratti metafisici. Weir, interessato a evocare una storia sospesa, tralascia volontariamente lo scioglimento di molti degli indecifrabili accadimenti della storia, orientandosi verso suggestivi sentieri che conducono alla dimensione onirica. La scuola femminile, la sua direttrice integerrima, la giovinezza delle allieve: tutto concorre alla rappresentazione di una simbolica repressione degli istinti (sessuali) che allude al rischio di una reazione sanguinosa senza che la violenza sia mai davvero mostrata. Notevole il contributo degli incontaminati scenari australiani.
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La forza repressiva delle convenzioni sociali contro l’assoluta imprevedibilità del mondo naturale. Da una parte il visibile e la logica, dall’altra l’invisibile e il metafisico. Picnic at Hanging Rock è uno dei primi film che fa di questo contrasto tra razionale e irrazionale un motivo di fascinazione che continua inalterato nel tempo. Siamo nel 1900, è il giorno di San Valentino e un gruppo di collegiali fa una gita al complesso montuoso di Hanging Rock. Tre ragazze e un insegnante si perdono misteriosamente durante l’escursione. Iniziano le ricerche ed una delle tre ragazze ricompare con segni alle mani e alla testa ma ancora viva. Quale è il segreto che si cela dietro questi misteriosi avvenimenti? E’ davvero solo un sogno dentro un sogno come nei versi di Edgar Allan Poe? Peter Weir partendo dall’omonimo romanzo di Joan Lindsay, non è interessato a risolvere l’enigma ma piuttosto a verificare l’impatto di un evento così drammatico all’interno di una comunità regolata da leggi granitiche. In tutta la parte iniziale viene descritta minuziosamente la vita del collegio aristocratico Appleyard, i rigidi cerimoniali, le regole strette come i corsetti delle ragazze. Rispettando la trama del romanzo, Weir caratterizza la leader Miranda (Anne-Louise Lambert), figura carismatica ed eterea, spesso mostrata in dissolvenza incrociata con le immagini della natura australiana. Il cigno è l’animale associato alla ragazza, come una sua proiezione o reincarnazione, e il suo viso ricorda quello della Venere di Botticelli. Attorno ci sono gli sguardi desideranti delle ragazze e dei ragazzi: quello di Sara (Margaret Nelson), orfana innamorata perdutamente di Miranda e quelli indiscreti dell’aristocratico Michael (Dominic Guard) e dell’orfano Albert (John Jarratt). Ma le vere protagoniste del film sono le rocce di Hanging Rock, suggestivo Axis Mundi che collega cielo terra e inferi: le rocce si stagliano contro il cielo con delle insenature e rilievi che mimano volti umani e sono attraversate da nuvole rosse. Il potere di questi colossi verticali è assimilabile a quello del monolite kubrickiano di 2001: Odissea nello spazio: la loro presenza esercita un potere magnetico sulle ragazze che si avventurano nell’esplorazione ed ha un effetto di sospensione temporale (gli orologi si fermano tutti alle ore 12). L’oscuro mistero di queste formazioni dell’età vulcanica (risalenti a milioni di anni fa) rimane celato all’interno di fenditure del terreno e passaggi molto stretti. Lo spirito apollineo delle ragazze, tutte vestite in bianco e con veli trasparenti come in un quadro di Renoir, si scontra con la forza dionisiaca che fa accedere attraverso l’estasi ad una dimensione “altra”. Solo Miranda sembra consapevole che il ciclo della sua vita terrena è completato e si avvicina al complesso roccioso come promessa sposa della morte. Tutte queste immagini di transizioni di forma sono accompagnate dal flauto di Gheorghe Zamfir con un ritmo allucinato e ipnotico simile ad una danza sciamanica.
Weir nasconde il sottofondo sessuale disseminando indizi: l’amore lesbico di Sara per Miranda provoca una reazione persecutoria nella direttrice Appleyard (Rachel Roberts) da sempre segretamente innamorata dell’insegnante di matematica Miss McCraw (Vivean Gray); la descrizione dell’eruzione del vulcano da parte della McCraw assomiglia più a quella di una eiaculazione; la forte attrazione erotica di Michael per Miranda si tramuta in visioni fantasmatiche (sulle note della quinta sinfonia di Beethoven) fino allo spingersi dentro l’abisso dei sensi di Hanging Rock. La stessa figura di Albert è divisa tra una vicinanza intima alla figura di Michael (la condivisione della bevuta) e la forte componente incestuosa verso la sorella Sara che gli appare in sogno dopo morta. Questo vortice di passioni che si alimenta nel mondo interiore dei diversi personaggi si tramuta dopo la scomparsa delle ragazze in isteria collettiva: il tentato linciaggio dei poliziotti da parte della popolazione di Hanging Rock e la terribile reazione delle collegiali contro la povera Irma che ha la colpa di essere sopravvissuta, sono i segni di un caos incontrollato. La sparizione è ancora più angosciante della morte. Il passaggio dall’essere al non essere sine materia è altamente destabilizzante e Peter Weir descrive perfettamente questo sentimento attraverso un senso di pericolo sia negli elementi naturali (le piante che si muovono, i riflessi abbaglianti del sole, i pappagalli, le lucertole e i serpenti) che attraverso dei movimenti ampi della macchina da presa che inquadrano dall’alto i personaggi da un punto di vista soprannaturale. Numerosi interrogativi rimangono senza risposta e la salita delle ragazze verso il complesso di rocce vulcaniche assume un chiaro significato metaforico: l’ombra delle fanciulle in fiore scompare in una fessura dentro la roccia in un mistero metafisico senza soluzione. Tutto inizia e finisce esattamente allo stesso tempo.
Alla sua uscita Picnic at Hanging Rock fu una vera sorpresa e risollevò le sorti del cinema australiano: l’opera diventò fonte di ispirazione per cineasti come David Lynch (Twin Peaks ha numerosi punti in comune) e Sofia Coppola (Il giardino delle vergini suicide). Frammenti del flauto di Gheorghe Zamfir ispireranno le note di Ennio Morricone per C’era una volta in America regalando un sogno d’oppio dentro un altro sogno.
Fabio Fulfaro – sentieriselvaggi.it