n un mondo in cui gli esseri umani sembrano essere scomparsi, l’arrivo di un’inondazione costringe un gatto nero a mettersi in salvo su una barca che deve condividere con un variopinto gruppo di animali, tra cui un lemure, un cane labrador, un capibara e un uccello. Nella navigazione attraverso paesaggi mistici e architetture sommerse affronteranno le sfide e i pericoli dell’adattamento a questo nuovo mondo…
–animazione-
Belgio/Lettonia/Francia 2024 (84′)
Oscar: miglior lungometraggio d’animazione


Zilbalodis utilizza l’animazione digitale alla sua massima potenzialità, lavorando sulla bellezza non estetizzante delle composizioni e sul dinamismo interno, attraverso la realizzazione di complessi ed eleganti piani sequenza che conferiscono al visivo un’insolita motilità. Un movimento che è anche traiettoria narrativa e itinerario di scoperta, in cui fiaba, tensione, commedia e avventura si combinano in modi sempre sorprendenti ed efficacissimi, senza perdere di vista il mistero attanagliato nello sguardo senza pregiudizio del gatto, a cui pian piano aderisce il nostro, come quella del bambino. Tra implicazioni filosofiche, smarrimenti benigni, omaggi a Béla Tarr (con una citazione esplicita nel finale de Le armonie di Werckmeister…) e un senso compiuto di appagamento – ludico, intellettuale, ed estetico – Flow fluttua nel tempo interiore dello spettatore come l’acqua increspata di un bene perduto. Una piccola onda con l’eco di tesori nascosti, tra gli scarti e le rovine di un silenzioso futuro.
Gianluca Arnone – cinematografo.it
Non è difficile cogliere come in Flow, opera seconda dell’animatore lettone Gints Zibalodis, il messaggio sia incentrato su quanto sia necessario collaborare per poter sopravvivere: il gatto protagonista è abituato a vivere per conto suo, ma ciò che gli succede davanti agli occhi lo porterà a ripensare il suo modo di guardare il mondo e il rapporto con gli altri. Raccontato così, però, Flow può sembrare un film d’animazione ambientalista e animalista come tanti, ma in realtà quello che ci troviamo davanti agli occhi è qualcosa di profondamente diverso e sorprendente. Totalmente muto, il film è una vera e propria esperienza immersiva, quasi in soggettiva con il gatto che cerca di salvarsi: noi spettatori siamo con lui, prendiamo il suo punto di vista, attraverso un gioco di prospettive di sguardo in cui si alternano paesaggi di abbagliante bellezza e pericoli imprevisti. Sia per i movimenti del personaggio, sia per l’apparato formale complessivo, il film risulta un curioso e coraggioso ibrido tra cinema e VR, come se stessimo indossando dei visori che ci costringono a vedere il mondo con occhi diversi. Semplice nei messaggi e sorprendente per come li va a raccontare, Flow è un film che sembra provenire dal futuro, puntando su una forma filmica quasi mai vista prima sul grande schermo che ci porta, davvero, a confrontarci in prima persona con ciò che deve fronteggiare il timido gatto nero protagonista.
longtake.it
Un mondo arcaico, lussureggiante. L’uomo sembra essersi estinto: della sua specie restano solo vestigia monumentali ormai inghiottite dalla natura. Ma gli animali sono sopravvissuti. In particolare, un gatto si aggira tra prati e rovine fino a quando una alluvione biblica sommerge ogni cosa e il gatto si ritrova aggrappato a una scalcinata imbarcazione a vela insieme a un pigro capibara, un lemure vanitoso, un labrador cuor contento e una specie cicogna che pare minacciosa. Intanto la barca va: tra incontri con altri animali, piogge, tempeste e risacche che mettono a rischio l’equipaggio, su questa novella Arca di Noè si semina una solidarietà che supera e sublima l’individualismo istintivo e animalesco in qualcosa che assomiglia al bene comune, alla compassione (meravigliosa la sequenza finale), a quel “restare umani” che non ci appartiene più e di cui, metaforicamente, si fanno portatori proprio le bestie e, in particolare, un gatto che, nella immaginazione collettiva, è quello tra gli animali che sembra non avere bisogno di nessuno. Flow – Un mondo da salvare, diretto dal regista lèttone Gints Zilbalodis, è un incantevole film di animazione, sospeso tra grafica computerizzata, impronta artigianale e pixel da videogame, che, pur avvinghiato a solide radici poetiche e filosofiche, resta una avventura avvincente, capace di ammaliare un pubblico larghissimo (il film non è parlato e, quindi, adatto anche a bambini molto piccoli), senza, per questo, rinunciare a parlare, singolarmente, a ogni spettatore, nel suo stratificarsi tra un livello di percezione elementare (con uno studio dei comportamenti, in particolare quello del gatto, stupefacente e realistico) e una riflessione profonda e struggente sulla convivenza.
Marco Contino – il nordest.it