Family Therapy

Sonja Prosenc

Quando un giovane estraneo entra in quella che sembra essere una famiglia perfetta, la bolla idilliaca in cui vivono da sempre scoppia. Il caos del mondo esterno invade le loro vite, rivelando i loro difetti e i loro sogni, le loro paure e le profonde relazioni disfunzionali che li accompagnano. Una satira visionaria e coinvolgente.

Odrešitev za začetnike
Slovenia/Ita/Norv/Serbia/Croazia (122′)
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  Incentrato su una ricca famiglia slovena, il terzo lungometraggio di Sonja Prosenc è una satira sociale brillante che ci chiede di ridere e poi di empatizzare (…) I Kralj sono scossi come un frullato, e il background non proprio di alto lignaggio di Julien crea una spaccatura nella famiglia. Quando un’altra famiglia bussa alla loro porta dopo un guasto alla macchina, Julien li fa entrare in casa – un atto del tutto sordido e proibito per i Kralj, che osservano con disprezzo. Forse sono immigrati o addirittura – osano dire – rifugiati? Ma l’arguzia e l’onestà del giovane iniziano a rompere il guscio accuratamente costruito di Agata, che inizia a ribellarsi ai suoi genitori. Anche l’ordinata casa di vetro inizia a rompersi sotto la pressione di questi tumulti, diventando sempre più disordinata e riflettendo la situazione della famiglia.
I paralleli cinematografici sono facili da rintracciare: Family Therapy potrebbe essere il figlioccio delle scenografie e delle dinamiche familiari di Parasite di Bong Joon-ho e del tono satirico asciutto e anticonformista di The Lobster di Yorgos Lanthimos. Il direttore della fotografia Mitja Ličen completa il tutto creando un’immagine incredibilmente pulita e brillante in ogni scena per completare il tentativo di proiezione della famiglia (…) Prosenc non ci va tanto per il sottile su ciò che sta criticando e su come lo fa: uno spezzone di un’intervista a Slavoj Žižek sulla cosiddetta “crisi dei migranti” in Europa si sente a tutto volume sull’autoradio mentre la famiglia Kralj si allontana dall’altra famiglia che ha bisogno d’aiuto, con l’auto che fuma in lontananza. Suddiviso in più capitoli, gli elementi da dark-comedy del film si impennano con momenti di autentiche risate suscitate dal comportamento oscenamente privilegiato della famiglia. Man mano che la storia prosegue a ciascuno dei quattro personaggi viene dato il tempo di valutare i propri percorsi, ma il tempo non è sufficiente per completare la storia…

Olivia Popp – cineuropa.org

   Dopo un incipit con un incidente stradale, una macchina che prende fuoco lasciando per strada i suoi passeggeri, una scena in un aeroporto, dove i protagonisti, i coniugi Kralj, aspettano l’arrivo del loro ospite, il giovane avvenente Julien, francofono, figlio del marito della coppia, avuto da una sua precedente relazione. Si tratta dell’inizio di Family Therapy (in originale Odrešitev za začetnike), nuova opera della cineasta slovena Sonja Prosenc, presentata nel concorso lungometraggi del 36° Trieste Film Festival, dopo l’anteprima al Tribeca. L’ambiente asettico dell’aeroporto, i lunghi corridoi bianchi con i tapis roulant, inaugurano la dimensione sterile, geometrica, razionalista che governa tutto il film, dominata dalle architetture moderniste e minimaliste della magione dei Kralj, la famiglia altolocata, oggetto della satira della regista, chiusa in quella casa di vetro di bambole. Già dal momento del loro passaggio in strada, in cui superano la macchina bruciata senza minimamente degnarsi di fermarsi a dare soccorso, mentre in contrappunto si sente un’intervista alla radio di Slavoj Žižek sui migranti, abbiamo idea della loro agiatezza classista, che esploderà nel loro disagio quando i ‘pezzenti’ busseranno alla loro porta chiedendo soccorso e, pur accolti, verranno apostrofati con spregio come dei rifugiati. Tutto il film si gioca sui rituali vuoti e stranianti di quell’ambiente altoborghese, in quella dimora postmoderna ed eclettica dalle ampie vetrate che si aprono sui boschi circostanti, dove il capofamiglia è intento in concorsi che lo proiettano nello spazio, il tutto incorniciato con un aspect ratio 4:3. E sulla loro messa in crisi operata dal conturbante ospite pasoliniano, dalla bellezza efebica e ambigua – esemplare il momento in cui la sorella lo trucca da donna, con il rossetto. L’ironia è su quel vezzo di vivere in mezzo alla natura, ma si tratta comunque di un’illusione di immersione. Quelle grandi vetrate sono comunque delle barriere. I Kralj vivono in realtà in una casa che è una bolla, isolati dall’ambiente circostante come dalla società tutta…

Giampiero Raganelli – quinlan.it

   Non è un caso che l’abitazione dove vive la famiglia in questione sia una villa geolocalizzata in una zona non meglio identificata, circondata da una foresta e delimitata da mura di vetro che ne mostrano l’interno e che possono essere infrante in qualsiasi momento. Metafore, queste, che solo una volte colte e metabolizzate possono consentire allo spettatore di entrare in contatto con le diverse stratificazioni e chiavi di lettura dell’opera (…) Piaccia o no, Family Therapy è un film che si assume dei rischi e lo fa senza timori reverenziali, portando sullo schermo un tipo di cinema più autoriale e celebrale, eccentrico e non lineare, che strizza l’occhio alla Weird Wave della vicina cinematografia greca della quale l’operato e lo stile della Prosenc sembrano dichiaratamente manifestare l’influenza. Sfuggendo alle etichette, all’immediata lettura e al realismo, necessita dunque di uno sforzo da parte di chi lo guarda e di conseguenza di un approccio consapevole.

Francesco Del Grosso – cineclandestino.it

  “La genesi di questo film affonda le sue radici in un ricordo personale: quando ero bambina, la nostra auto si è incendiata lungo la strada. Da questo ricordo d’infanzia delle auto in transito è nato Family Therapy. Nel mezzo del caos e della paura, un’altra auto passa accanto a quella bruciata: lucida, nuova, con una famiglia che sembra perfetta e che non si ferma ad aiutare. Questo evento ha piantato il seme della curiosità: chi sono le persone che scelgono di non fermarsi? Questo film è un’esplorazione dell’isolamento, non solo fisico ma anche emotivo e sociale. Ci addentriamo nella vita di una famiglia slovena benestante post-transizione, che incarna il distacco dalla realtà che la circonda. Si considerano cosmopoliti, hanno amici ovunque, eppure hanno paura di avvicinarsi alle persone “comuni”, persone la cui vita sembra estranea alla loro e che potrebbero portare il caos nel loro “mondo” ben strutturato. Vivono in una bolla, trasparente ma apparentemente impenetrabile, che rispecchia la casa di vetro della famiglia protagonista della storia. Questa barriera fisica e metaforica funge da campo di battaglia per la narrazione del film.” Sonja Prosenc

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