Adam, uno sceneggiatore in cerca di ispirazione, per affrontare i fantasmi del suo passato, torna alla sua casa d’infanzia, oltre trent’anni dopo la morte dei suoi genitori. Quando, una notte, fa la conoscenza del suo vicino Harry, dapprima rifiuta di farlo entrare in casa sua, ma col passar del tempo i due inizieranno una relazione in cui condivideranno passione, fragilità e traumi vissuti.
All of Us Strangers
USA/Gran Bretagna 2023 (105′)
Ci sono pochi registi che sanno portare lo spettatore sul crinale della lacrima, senza diventare patetici, retorici, annoianti: Andrew Haigh è senz’altro uno di questi. Raccontare il turbamento di un’identità sessuale che fin dall’infanzia ti fa sentire di essere sbagliato per il mondo, il dolore per la perdita precoce dei genitori in un incidente stradale e che rende ancora più infelice quell’età acerba, la solitudine di un’esistenza che si porta dietro elaborazioni del lutto, complessi di colpa, incomprensioni con le persone più care: Estranei è tutto questo, è il rumore lontano di una vita sommersa, dove restano solo i sogni e i fantasmi a riempirla e darle una possibilità di sussistere. In un grande condominio, si direbbe quasi totalmente disabitato, Harry suona alla porta di Adam, uno sceneggiatore per la televisione, tormentato dalla scomparsa dei genitori quand’era ancora bambino, incapaci all’epoca di accettare la sua omosessualità. Adam conduce una vita appartata, silenziosa, rarefatta. Il fatto che lo sconosciuto coinquilino, che sembra essere anche l’unico, irrompa nella vita di Adam provoca una sorta di ripensamento, rilettura di ciò che è stato in tutta la sua vita. Sospinto dai ricordi fotografici, Adam torna alla casa dell’infanzia, rivivendo così il trauma di allora e cercando di trovare finalmente tutto quello che gli è mancato, coming out compreso. È un film di fantasmi Estranei: le chiavi sono disseminate ovunque, nei dialoghi, nelle sovrapposizioni visive (si pensi alla scena del letto insieme alla mamma, o all’immagine rifessa sul vetro della finestra della vecchia casa, nel finale), sbriciolando continuamente il confine tra reale e immaginario, tra passato e presente, con un treno che funge da macchina del tempo, in quell’andirivieni tra la città e la campagna, dove Adam visse i primi anni. È un film sul distacco, come inconsolabile frattura tra gli individui, gli affetti, gli amori, come accadde già in Weekend, 45 anni e Charley Thompson, in una carriera che fa di Andrew Haigh il cantore profondo di esistenze desolate e affrante, condizionate dal ricordo e dal dolore, a cavallo del tempo, come finora avevamo visto capace di coniugarle con profondità forse solo Terence Davies (Voci lontane… sempre presenti) del quale Haigh riprende anche l’utilizzo nostalgico della musica (qui i Frankie goes to Hollywwod e i Pet shop boys). Come in un viaggio della mente, i pensieri di Adam si fanno immagine, tra l’intenso ondeggiare di sentimenti e relazioni, portando il film in una dimensione sospesa del reale, dove ogni presenza perde la fisicità del presente, il tempo si dissolve e il protagonista è inconsolabile nella sua solitudine. Film struggente e bellissimo, da non perdere assolutamente, con Andrew Scott e Paul Mescal magnifici attori, ma non di meno lo sono i genitori Jamie Bell e Claire Fory. Se siamo davvero fatti della stessa sostanza dei sogni, come il finale prima dei titoli di coda farebbe pensare, Estranei declina il potere dell’amore nella sua chiave più straziante. “Always on my mind”, sempre nella mia mente. E sono lacrime e lacrime. Sappiatelo.
Adriano De Grandis – Il Gazzettino
Il tempo è, ancora, una volta, una delle colonne portanti del cinema di Andrew Haigh. Se nel suo film del 2011 – Weekend – si dilatava nell’innamoramento tra Russell e Glen, lungo solo un fine settimana, in 45 anni un evento del passato irrompeva bruscamente nel presente di una coppia navigata, svelando come la loro unione fosse stata, fino ad allora, solo “fumo negli occhi” (come la canzone dello struggente ballo finale). Nel suo nuovo film, il tempo si può persino attraversare: Estranei è, infatti, una storia – sorprendentemente sospesa tra melò e ghost movie – in cui passato e presente si specchiano l’uno nell’altro trovando, infine, nelle stelle una sorta di consolazione atemporale, una dimensione finalmente pacificata. Quello di Haigh è un cinema di rifrazioni, di finestre e specchi di ascensori che riflettono la vita solitaria di Adam (un intenso Andrew Scott dal sorriso sempre triste e tormentato, come i suoi profondi occhi neri), sceneggiatore queer in crisi che scruta Londra dalla finestra del suo appartamento, in un grattacielo quasi “fantasma”. Una notte alla sua porta bussa Harry (Paul Mescal) che vive qualche piano più sotto: vorrebbe entrare, bere un drink, sedurlo, ma Adam rifiuta. L’incontro apre una sorta di dimensione ucronica in cui Adam ritorna da adulto nella casa dei suoi genitori (interpretati da Jamie Bell e Clare Foy) come se non fossero mai morti in un tragico incidente d’auto quando lui era solo dodicenne. È l’occasione per dire loro ciò che, allora, non poteva confessare: il suo sentirsi diverso, i pianti notturni, gli atti di bullismo subiti. Parallelamente Adam e Harry si incontrano nuovamente: la loro sintonia diventa sempre più profonda, si amano, le loro “estraneità” si compenetrano e completano. Come la realtà e il sogno, la carne e l’anima, la tangibilità di corpi che si muovono morbidi sotto la spinta di un desiderio troppo a lungo negato e l’inafferrabilità di entità fantasmatiche. A tenerli insieme è l’amore (come suggerisce la canzone dei Frankie Goes to Hollywood, The Power of Love) che, prima di assurgere a stella, deve passare per lo strazio e il dolore in un film che Haigh mantiene sempre in un equilibrio limbico e mai retorico, nella struggente penombra di un appartamento dove la vita si consuma per poi riaccendersi.
Marco Contino – Il Mattino di Padova