Cure

Kiyoshi Kurosawa

Tokyo, febbraio 1997. La città è colpita da un’ondata di omicidi apparentemente inspiegabili. I responsabili sono infatti persone comuni, senza alcun legame tra di loro, che uccidono incidendo una X sul collo delle vittime, per poi accusare un forte senso di stordimento. Sul caso indaga l’agente Takabe, che con l’aiuto dell’amico psichiatra Sakuma, scopre che all’origine del mistero sembra esserci il giovane Mamiya, vittima di amnesia ma al tempo stesso dotato di terribili poteri ipnotici.


Kyua
Giappone 1997 (118′)

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     A metà strada fra il thriller psicologico e il poliziesco a tinte noir, Kurosawa tenta un nuovo approccio al genere e opera su due piani contrapposti, da un lato rispettandone i topoi più esteriori (…) e dall’altro scardinandone dall’interno struttura e stilemi (…). Toni metafisici e messa in scena realistica (campi lunghi, piani-sequenza, profondità di campo, nessuna aggiunta di musiche) per una discesa fra le pieghe più oscure della natura umana, condotta da Kurosawa in un contesto di apparente normalità in cui la violenza irrompe improvvisa e destabilizzante.

longtake.it

  All’apparenza, Cure è un film violento, crudo, diretto, con il classico stilema del rapporto tra detective e sospettato, con il loro scontro e la loro sovrapposizione, ma è nei suoi dettagli e nelle sue pieghe più tecniche e registiche che si dimostra essere un’opera imponente. Kurosawa alla violenza e al sangue alterna sequenze oniriche e metafisiche che trasportano il film su un altro piano logico e filosofico, alterna piani sequenza immobili a sequenze flash frenetiche, toglie quasi del tutto la musica per lasciare spazio solo ai suoni, ai colpi improvvisi, ai tremolii, al fruscìo del vento. Tutto questo per costruire un film in grado di intromettersi e sprofondare nel tema della malattia mentale, della complessità della mente umana, così da far emergere la relatività della pazzia e del concetto di bene contro male. E l’aspetto più rilevante e inquietante è che Kurosawa riesce a spaventare restando quasi fermo, immobile con i suoi silenzi e le parole trattenute perché Cure riesce a spingere lo spettatore a compiere il proprio viaggio verso le porte della mente che non vuole aprire, verso i segreti più reconditi e nascosti.

Federico Metri – hotcorn.com

  Il male esiste, è contagioso, e la sua messa in opera è semplice, diretta, perfino banale. Per questo ancora più agghiacciante. Non ci sono motivi, non ci sono moventi, non ci sono piani elaborati e diabolici (…) Cure va dritto per la sua strada, mescola un po’ di carte in tavola per aumentare lo smarrimento e confusione, allude magari, ma si rifiuta di fornire spiegazioni chiare e dirette, mettendo in luce la loro totale inutilità, se non come puro abbellimento – si fa per dire – narrativo e cinematografico (…) La paura, nelle immagini di Cure, è legata al vuoto, al quotidiano, agli oggetti comuni agli spazi liminali delle nostre città e delle nostre case, alla sua apparente assenza e alla sua inquietante immanenza.I tunnel, i ponti, le strade messe sullo schermo da Kurosawa sono deserte e cariche di tensione, una tensione (e una solitudine profonda) nella quale annegano i pochi personaggi e anche noialtri spettatori. Il controllo di Kurosawa sulle immagini e sui suoni (occhio ai suoni!) è quasi sovrannaturale, e quando poi gioca con le ellissi, col montaggio, con le evocazioni visuali spiazzanti e misteriose (…) il confine tra realtà e illusione è abbattuto, ogni certezza abbandonata (…) L’unica cosa certa è che, cercando di scoprire la verità, non ci aspetta nulla di buono.

Federico Gironi – comingsoon.it

“Kiyoshi Kurosawa è un vero maestro della luce, dell’inquadratura e del ritmo, e ha un controllo tale su tutti e tre questi elementi al punto che ci sono momenti nei suoi film in cui il minimo gesto nell’angolo dello schermo riesce a far venire i brividi” Martin Scorsese

Cure sfida lo spettatore chiamandolo ad aderire, obbligandolo ad aderire, allo sguardo e alla mente del detective Takabe Kenichi: che, a Tokyo, sulla scia di alcuni omicidi apparentemente senza nesso logico, cerca un responsabile e cerca altresì una motivazione profonda alla sua stessa razionalità psicologica. Cure toglie qualunque agio, non offre né sponde né ristoro (seppur momentaneo).” Pier Maria Bocchi

 

“La caratteristica principale del J Horror è quella di collocare le storie in ambientazioni quotidiane come scuole, case, uffici; luoghi molto famigliari e considerati quindi sicuri, per poi sovvertire questa sicurezza inserendo l’elemento soprannaturale. (…) Inoltre, un’altra caratteristica del J Horror è quella di associare il male non a mostri o a maniaci deformi, ma a persone normali che, spesso senza alcun preavviso, compiono gesti terribili.” Kiyoshi Kurosawa

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