Anora lavora come stripper in un locale di New York. Qui conosce Ivan, un cliente che si rivelerà essere il figlio di un oligarca russo: il ragazzo si innamora di lei e finirà per chiederle di sposarlo. Il loro sogno d’amore, però, avrà più ostacoli del previsto.
USA 2024 (138′)
Cannes 77°: Palma d’oro
5 Oscar: film, regista, sceneggiatura originale, attrice protagonista, montaggio


Sean Baker è un regista indipendente – il precedente lungometraggio, Tangerine l’ha girato con l’IPhone – che è approdato all’Universal, ma che mantiene totalmente i requisiti del cinema indie, imprevedibilità, temi morali svillaneggiati e destrutturati, come i generi cinematografici dai quali attinge a pieni mane, anche in questo film, un mix divertente e agrodolce tra Pretty Woman e Quei bravi ragazzi di Martin Sorsese. Anora (Mikey Madison, una delle ragazze di Manson in “C’era una volta a… Hollywood”) è una spogliarellista che arrotonda offrendo sesso a pagamento, anche all’arrapatissimo Vanya, ragazzo russo pieno di soldi perché figlio di un oligarca, un po’ efebico e un po’ molto nerd, 21 anni contro i 23 di lei che pare ne abbia almeno dieci di più, quanto a esperienza sessuale e ingegno. Al punto da pensare di poter incastraci qualcosa di grosso, economicamente parlando. Così i due finiscono a Las Vegas, e tra un sesso e l’altro, scoppia l’amore e si sposano. Ma i genitori oligarchi non sembrano esserne troppo felici al punto da mandare una squadra di pronto intervento con un improbabile pope a capo, per recuperare il figlio prediletto e salvarlo dal peccato. E siccome il diavolo non veste solo Prada, di cose ne succedono in un’escalation di divertissement, di inseguimenti, violenze non proprio da ridere e un linguaggio altrettanto trash. Ma a sorreggere ed apprezzare il film stanno una scrittura ricca e imprevedibile e una recitazione perfetta di ogni singolo protagonista o spalla. Si ride, invece, eccome, per un buon due terzi del film, a riprova che anche i film divertenti possono avere il loro valore e magari vincere un festival… Il genere commedia brillante si evolve in modo ulteriormente sofisticato e dark spostandosi da Las Vegas e New York e virando nel sentimentale, dove però l’happy end non è così dietro l’angolo, affatto scontato. Il finale infatti conferma come i sogni spesso muoiano all’alba, ma soprattutto che la dinamica tra buoni e cattivi non esiste solo nella commedia ed è difficile da scardinare.
Michele Gottardi – il nordest.it
Metti Cenerentola a Coney Island, tra luna park e lungomare rutilanti di tristezza. Dalle un lavoro realistico e fiabesco, le fiabe sono sempre crudeli, così questa Cenerentola si spoglia e si struscia ai clienti. Per finire trova un principe azzurro contemporaneo. Un ragazzino russo che è la vitalità, l’immaturità, l’irresponsabilità in persona, ed è figlio di un oligarca. Un fantamultimiliardario che sembra un elfo ma vive in una nuvola di onnipotenza, fa sesso come un coniglio, beve, fuma, fa le capriole, gioca ai videogame, offre crack alla domestica, insomma ha tutti i vizi possibili ed è pronto a pagare qualsiasi cifra per qualsiasi cosa. Dunque si incapriccia, a modo suo, di quella escort di origini uzbeke che mastica anche un po’ di russo, Anora. E la porta a vivere nella sua fantamegavilla affacciata sulla baia. Palma d’oro a Cannes, il film di Sean Baker parte così, con la folle storia di Vanya e Anora, per poi galoppare su un copione forse rodato ma nutrito di una dose di divertimento, intelligenza, sottotesti, che catapulta Baker nel club oggi assai ristretto dei registi capaci di divertire, emozionare e far pensare. Questione di casting, certo, Mikey Madison e Mark Ejdel’tejn, la tostissima Anora e lo scellerato Vanya, sono fantastici anche se l’asso nella manica è Jurij Borisov cioè Igor, una delle guardie del corpo di Vanya, che entra in scena molto in sordina nella seconda par te del film. Di casting ma anche di rapporto col mondo perché Baker, sulla scia del miglior cinema indipendente, sa sempre di cosa parla (la sceneggiatura deve molto al memoir di una vera sex worker). E malgrado gli accenti fiabeschi, specie sul lato russo, non smette di ricordarci che il denaro è tutto, l’amore confina col potere e il potere, oggi più che mai, allontana ogni giorno di più chi sta sopra da chi sta sotto. Magari non bisogna enfatizzare il lato sociale, Anora resta una commedia d’azione scatenata come le sapeva fare solo Jonathan Demme, ricca di scene e figure memorabili per inventiva, sentimento, capacità di incarnare la nostra epoca. Anche quando corpi e volti dicono il contrario delle parole, pensiamo al bellissimo sottofinale nella villa di Vanya. Amoralità e salti temporali a parte, qua e là si può pensare anche a un “Pulp Fiction” aggiornato all’era degli smartphone e del MeToo…
Fabio Ferzetti – L’Espresso
Un po’ Cenerentola (titolo che viene anche citato), un po’ Pretty Woman, Anora è un film figlio di tanti possibili genitori, che riesce però a risultare originale per la sua messinscena pulsante e vitale. Tre anni dopo l’innocuo Red Rocket (2021), Sean Baker torna al suo cinema più vibrante – quello di Tangerine del 2015, in particolare – risultando in questo caso più maturo che mai per scelte narrative e forza stilistica. Nonostante il film possa apparire abbastanza convenzionale nella prima parte, col passare dei minuti cresce in maniera impressionante, muovendosi tra vari registri narrativi e generi che si vanno ad affastellare l’uno sull’altro. In questo vortice di emozioni, che tocca anche momenti profondamente cupi e malinconici (si veda la toccante conclusione), l’apice però lo raggiunge una lunga parte centrale dalla forza comica impressionante: nella ricerca del fuggiasco Ivan, da parte della moglie e di tre scagnozzi decisamente improvvisati, le situazioni che si vanno a creare richiamano tanto la slapstick comedy del cinema muto, quanto la screwball degli anni Trenta, riuscendo a divertire con grande intelligenza. Il cambio di passo in questo senso è evidente, ma Baker riesce a mantenere i tanti ingredienti a disposizione in notevole equilibro per tutta la lunga durata del film (circa 138 minuti). Si sente la sincerità dell’operazione nel suo complesso e ciò che colpisce di più è la buona costruzione dei personaggi in scena, anche per merito di un cast decisamente all’altezza. Tra tutti, però, una menzione speciale va alla sorprendente protagonista Mikey Madison e all’intenso Yura Borisov (nei panni di Igor), già molto apprezzato in Scompartimento nr. 6 (2021) di Juho Kuosmanen.
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