Anni 40, una comunità di contadini in un paesino sulle Alpi, fra il Trentino e la Lombardia. Mentre la guerra volge al termine, l’arrivo di Pietro, un disertore siciliano, travolge la quotidianità di un insegnante e della sua famiglia, mentre Lucia, la maggiore delle sue figlie se ne innamora e decide di sposarlo. Arriverà un figlio ma il loro amore dovrà subire un amaro scherzo del destino.
Italia/Francia/Belgio (119′)
VENEZIA 81° – Leone d’argento. Gran premio della giuria
VENEZIA – C’è ancora qualcosa di sincero nel cinema italiano che va oltre il parossismo di Guadagnino (Queer) e l’ingombrante compiacersi di Sorrentino (Parthenope). Vermiglio ci trasporta in un mondo incantato dove, sotto le neve che sembra ovattare anche i rumori sordi della guerra (siamo tra il 1944 e il 1945), si animano pulsioni, sentimenti e contraddizioni dove la storia di ieri, come quella di oggi, riconosce l’essenza di luoghi, personaggi, rapporti umani.
In questa Heimat della Val di Sole è la famiglia Graziadei a fare da protagonista. Un nucleo contadino in cui il padre, Cesare, è depositario di cultura e si spende per alfabetizzare i suoi paesani e dare loro “cibo per l’anima”. Il peso delle relazioni domestiche è così tutto sulle spalle di mamma Adele, presa dal suo ruolo di far nascere figli con la consapevolezza che non potrà che piangere quelli che la vita le toglie e amare con ancora maggior forza quelli che arrivano. Sì perché, anche se Dino, Lucia, Ada, Flavia sono già abbastanza grandi, non manca nel corso dell’anno la nascita di un nuovo fratellino. Ognuno costituisce un tassello fondamentale nel racconto corale della Depero: Pietro, lavora nei campi ed è osteggiato dal padre che non esita a negargli il diploma, Ada è anche lei destinata a non continuare gli studi perché non brillante a scuola come Flavia, la piccola su cui il capofamiglia crede giusto investire per un futuro migliore.
Ci sono tensioni non sopite che potrebbero incrinare il cristallino microcosmo dii Vermiglio (gli aspri scontri tra Cesare e Dino, Ada che si autopunisce per sentirsi attratta dalla prorompente personalità di Agata e che viene a scoprire un album fotografico osé in un cassetto segreto del genitore), ma lo snodo narrativo si ha nel ritorno al paese del cugino Attilio, in cerca di rifugio tra le montagne dopo aver disertato, che porta con sé Pietro, un commilitone siciliano. La love story tra quest’ultimo e Lucia cresce in un sommesso pudore e sono il fidanzamento, il matrimonio e l’arrivo di un figlio a scandire il passaggio delle stagioni fino a giungere al momento in cui Pietro decide di tornare al suo paese per rassicurare la propria famiglia. È un’ulteriore svolta nel racconto che porterà inaspettate, dolorose situazioni, ma la serenità del piccolo mondo antico tra i monti del Trentino ha radici profonde e sa trovare riparo tra riti magici e religiosi così come Vermiglio sa tonificare l’esistenza della sua comunità alpina grazie al pacato procedere degli eventi, all’uso appropriato del dialetto (col ricorso ai sottotitoli), ad un toccante realismo poetico (il riferimento a Olmi è d’obbligo) che trova consolazione nelle musiche di Chopin e Vivaldi.
La Delpero riesce a cogliere in questa sua opera seconda (aveva esordito nel 2019 con Maternale) lo spirito delle sue origini (è nata nel 1975 a Bolzano) ed è capace di restituirlo, tra allusioni e sottotesti, in un affresco di grande umanità che estrapola le situazioni personali in riflessioni di valore universale: la sofferta condizione muliebre e l’autoritarismo del padre padrone (che non ha mai neanche il pensiero di offrire un fiore alla moglie) – l’innocente curiosità di Flavia – la trasgressiva femminilità di Ada e Agata – il disprezzo verso i due disertori e il loro rifiutare la guerra – la distanza, non solo geografica, del Sud con la sua logica di gelosia e onore… Tra ottusità e ipocrisie la realtà arcaica di Vermiglio non è poi così incantata, ma lo spazio sospeso in cui il cinema di Maura Delpero ci trasporta è davvero incantevole.
Ezio Leoni – MCmagazine 96