Una spiegazione per tutto

Gábor Reisz

È estate a Budapest. Abel, studente liceale, cerca di concentrarsi sugli esami finali, mentre si sta rendendo conto di essere perdutamente innamorato di Janka, la sua migliore amica. A sua volta, Janka è innamorata, non corrisposta, di Jakab, professore di storia, sposato, che ha avuto in passato un diverbio con il padre conservatore di Abel. Le tensioni di una società polarizzata vengono inaspettatamente a galla quando l’esame di storia di Abel si risolve in uno scandalo nazionale.

Magyarázat mindenre/Explanation For Everything.
Ungheria 2023 (128’)VENEZIA: premio Orizzonti, miglior film

Lux Padova Logo

   «Perché indossi la coccarda nazionalista?»: ruota completamente intorno a questa domanda questo piccolo, interessante film, in cui al centro c’è un esame di storia che diventa rapidamente un caso di interesse sociale e politico. Arrivato al suo terzo lungometraggio, il bravo regista ungherese Gábor Reisz realizza l’opera della sua maturità, firmando una satira tagliente sull’Ungheria contemporanea, mostrata in tutte le sue controversie, la sua burocrazia e la brutalità con cui si taglia velocemente fuori chi ha un pensiero controcorrente. Lo scontro tra il padre di Abel e l’insegnante di quest’ultimo, reso esplicito dalla litigata che i due si fanno nel finale della pellicola, diventa sineddoche di un ragionamento molto più ampio, inerente alla storia ungherese e alla politica di Viktor Orbán. La disputa tra una figura nazionalista e una liberale diviene spunto per riflettere su rapporti generazionali, mondo scolastico e universo giornalistico in questa pellicola che parte col freno a mano tirato ma poi cresce alla distanza regalando anche diverse sequenze toccanti (quelle con Abel in bicicletta, in particolare). La cornice inizio-fine non è incisiva quanto la parte centrale, ma il disegno d’insieme funziona e, nonostante una messinscena a tratti ancora un po’ acerba, il coinvolgimento spettatoriale rimane alto fino alla conclusione.

longtake.it

 Tutto è politica, tutto è politico. Anche un esame di maturità, punto di partenza (e di approdo) di un film magnifico, Magyarázat mindenre di Gábor Reisz , istantanea di un presente specifico, quello dell’Ungheria di Viktor Orbán, che sa inquadrare il destino di un intero continente, la fragile Europa unita per ambizione e divisa per vocazione. Un film lungo e incessante (l’originale, a Venezia, era di due ore e mezza; è stato ridotto per l’uscita italiana), parlatissimo senza correre mai il rischio di diventare verboso, ambientato in una Budapest calda (si suda) e nuvolosa (si cerca un raggio di sole, si trova l’ombra), suddiviso in capitoli che attraversano una settimana apparentemente come tante altre e invece destinata a dividere l’intero Paese. Crocevia della nazione è Abel, liceale allampanato e distratto che non sembra del tutto consapevole dell’importanza dell’esame: è innamorato (a rischio friendzone) di Janka, brillante compagna di classe e migliore amica, a sua volta invaghita del professore di storia, l’aitante Jakab, un liberale ostile a Orbán che a un colloquio a scuola ha litigato con il padre di Abel, un conservatore che non rimpiange il Novecento socialista. Avendo fatto scena muta, Abel viene bocciato all’esame di storia, ma la coccarda tricolore sul bavero (rimasta lì dalle celebrazioni del 15 marzo, festa nazionale in cui si ricorda la Guerra d’Indipendenza del 1848) viene notata da Jakab: apriti cielo. Il papà di Abel si convince che la bocciatura sia legata a motivi politici (negli ultimi anni indossare la spilla è diventata un simbolo dei nazionalisti, chi non la indossa è considerato un oppositore), la voce gira (straordinario il “percorso” compiuto dalla notizia che trasforma una capitale in un quartiere: dal taxi al parrucchiere fino a un condominio, che sancisce anche una nuova fase del film) e arriva alle orecchie di una giovane giornalista rampante d’area governativa, ben contenta di costruirci su un caso nazionale.

C’è una spiegazione per tutto, appunto, ma Reisz (ed Éva Schulze che ha scritto la sceneggiatura con lui) sa che ognuno si dà le spiegazioni che vuole: è incredibile la sua capacità di descrivere il profilo di una nazione segnata da un conflitto al momento insanabile, una frattura così radicata nel quotidiano e feroce nella rappresentazione da impedire un dialogo civile tra le parti (ci si disprezza o si urla, tutto qui). Con lo sguardo di chi sa collocare l’espediente cronachistico su un piano romanzesco che non rinuncia a una coscienza saggistica, Reisz costruisce un film magmatico e complesso nel solco di Sieranevada e Vi presento Toni Erdmann (particolare e collettivo, privato e continente), appassionante per la tessitura narrativa che fa incrociare persone e destini, politico nella misura in cui interroga le contraddizioni di un popolo (“Cosa non si può fare in questo Paese?” si chiede Jakab dopo un favoritismo; “Dicono di amare il proprio paese ma si vergognano di essere patriottici” glossa il padre di Abel; la “narrazione ufficiale” dei fatti del 1956 che si scontra con i ricordi forse “rimaneggiati” di chi c’era), mette al centro la parola e le sue conseguenze, individua nell’istruzione il teatro dello scontro, nel giornalismo l’arma di lotta, nella famiglia lo spazio da cui emanciparsi. Un film vorticoso e incalzante, stratificato e sorprendente: sa essere commedia di costume, scannatoio familiare, racconto di formazione, trattato politico, racconto morale. Travolgente come le corse in bici con cui Abel cerca di fuggire dal mondo, sorprendente come il futuro che gli si apre davanti nel finale poetico.

Lorenzo Ciofani – cinematografo.it

  Una pellicola che tenta di rappresentare quel lacerante contrasto interno che vive l’Ungheria di oggi fra istanze conservatrici e aspirazioni liberali e che forse parla all’Europa intera. Ambientato nell’Ungheria di Orbán, Una spiegazione per tutto tenta di elaborare il senso di profonda divisione interna che si respira nel paese, oggi più che mai. Una nazione l’Ungheria lungamente martoriata dalla mancanza di un dialogo interno che sembra avere riverberi in tutto il resto dell’Europa. La storia dell’Ungheria dell’ultimo secolo infatti, forse anche più di altri paesi europei, è stata caratterizzata da eventi estremamente tumultuosi che hanno lasciato ferite profonde e un profondo senso di divisione interna a partire da presenza nazista durante la seconda guerra mondiale e dalla successiva occupazione sovietica. L’oppressiva influenza sovietica che ha visto la sua fine solo durante gli anni 80, anni nei quali il paese ha avviato la lenta trasizione verso la democrazia e l’economia di mercato per approdare poi alla situazione attuale con il controverso governo di Viktor Orbán. Un governo quello di Orbán contestato aspramente a livello internazionale per il suo stile autoritario e le sue politiche nazionaliste e una ennesima causa di divisione interna per L’Ungheria che ha finito per polarizzare ulteriormente il dibattito interno nel paese. Una spiegazione per tutto è quindi una pellicola che sembra raccontare una storia umana privata con un risvolto mediatico ma che finisce per essere la cartina di tornasole della condizione attuale dell’Ungheria ma soprattutto una emblematica rappresentazione del contrasto insito dell’Europa contemporanea.
Un’opera importante che parla quindi all’Europa di oggi che non riesce a trovare una sintesi fra correnti ultranazionaliste, populiste e intenti liberali, agitata da pericolosi echi di guerra che stanno compromettendo pesantemente i suoi valori e che potrebbero portarci su strade che nessuno vorrebbe percorrere.

culturetherapy.it

“La frattura che attraversa il Paese è presente da anni, non solo in parlamento, ma anche nella vita di tutti i giorni, nei rapporti tra le persone, per strada. Per me, uno degli esempi più espressivi di questo conflitto è l’indossare la spilla con i colori nazionali. In occasione dell’anniversario della Guerra d’indipendenza del 1848, una delle feste nazionali più importanti in Ungheria, è consuetudine indossare una spilla con i colori della bandiera, che simboleggia l’appartenenza alla nazione. Ma anche questo gesto ha assunto un significato politico. L’esibizione delle spille da parte dei nazionalisti durante gli eventi e le manifestazioni di partito ha cambiato sensibilmente il significato di questo simbolo negli ultimi 20 anni. Se un tempo rappresentava l’indipendenza ungherese e il legame con il Paese, oggi chi la indossa è considerato un sostenitore della nazione e chi non la indossa ne è, invece, un oppositore.”  Gàbor Reisz

Lascia un commento