Ambientato nelle Langhe sullo sfondo del mondo del Tartufo Bianco d’Alba, narra la storia di un ricongiungimento familiare e della riscoperta delle proprie radici. Vede come protagonisti un nonno-cercatore di tartufi e il suo cagnolino Birba, la sua giovane nipote che vive a Londra e viene mandata da sua madre ad aiutare il nonno che si trova in difficoltà economiche e di salute.
Italia 2024 (100′)
Il titolo è in dialetto piemontese, ma si presenta come un drama-adventure dal respiro internazionale, girato in lingua inglese e con un cast di star che annovera Margherita Buy, Umberto Orsini e come protagonista la giovane Ydalie Turk, attrice e scrittrice sudafricana. Stiamo parlando di Trifole, opera firmata dal regista ventottenne milanese Gabriele Fabbro, che ha scelto le Langhe e il misterioso mondo del tartufo bianco d’Alba per girare il suo secondo lungometraggio dopo l’apprezzato The Grand Bolero (2021). Tra le protagoniste del film, in effetti, c’è anche Birba, attrice canina ormai “navigata”: la quattrozampe tredicenne fedele compagna del trifolao di Roddino Aurelio Conterno, recentemente scomparso, aveva già brillantemente affrontato la macchina da presa in The Truffle Hunters, il docufilm diretto e prodotto nel 2020 dagli americani Michael Dweck e Gregory Kershaw, premiatissimo nei più prestigiosi festival a partire dal Sundance dove fu presentato in anteprima. Ma questa volta il tartufo non è il fulcro di un’indagine documentaristica: il mondo del prezioso tuber magnatum pico fa da sfondo alla storia di un ricongiungimento familiare e di riscoperta delle proprie radici. Ecco allora un nonno cercatore di tartufi, interpretato da Orsini, il suo tabui e la giovane nipote (Ydalie Turk), che vive a Londra e viene mandata nelle Langhe dalla madre (Margherita Buy) per aiutare il nonno che si trova in difficoltà economiche e di salute. Da una parte la natura, il clima e l’ambiente rappresentati dalla preservazione di un territorio tanto intenso nella sua bellezza quanto fragile; dall’altra la riscoperta delle tradizioni, il dialogo tra generazioni, l’amore familiare. Sono questi i registri su cui si muove la narrazione di Trifole…
Roberto Fiori – larepubblica.it
“Come regista e sceneggiatore il mio scopo è portare nell’industria cinematografica piccole storie originali di persone ai margini, di comunità e tradizioni italiane che stanno scomparendo e presentarle allo spettatore internazionale in modo magico per indurlo ad appassionarsi a questi mondi. Voglio raccontare un’avventura visivamente dinamica e dal tono unico per rimarcare l’importanza assoluta per tutti noi di conservare e rispettare la natura, il valore della famiglia e delle proprie radici. Questa storia è in primis una lettera d’amore a mio nonno, alla mia eredità e alla mia terra, l’Italia, che ho spesso dato per scontata”.
Gabriele Fabbro
Trifole – Le radici dimenticate racconta di un ricongiungimento familiare che inizia quando il cercatore di tartufi Igor, con la sua cagnolina Birba, riceve la visita della giovane nipote Dalia che da Londra arriva nelle Langhe per assisterlo. L’uomo si trova in difficoltà economiche e di salute. All’arrivo Dalia scopre che il nonno Igor ha ricevuto una notifica di sfratto dovuta all’espansione delle aziende vinicole locali, che sperano di impossessarsi della terra un tempo destinata ai cercatori di tartufi. Per trovare in poco tempo una somma di denaro sufficiente per pagare la casa ed evitare lo sfratto, Igor decide di condividere i segreti dei trifolao con la nipote e di mandarla nei boschi assieme alla cagnolina, alla ricerca di un grande tartufo bianco, in modo da salvare, con il suo valore inestimabile, la loro casa. Trifole – Le radici dimenticate vuole essere un inno alla riscoperta delle tradizioni, delle proprie radici e dell’amore familiare, custodi di un’eredità da tramandare all’insegna del rispetto e della cura nei confronti della natura che ci circonda.
Il personaggio di Dalia ci ricorda una moderna Alice di Lewis Carrol che, annoiata dalla frenesia e dalla modernità della città, finisce per perdersi nel paese delle meraviglie alla ricerca, non del bianconiglio, ma del grande tartufo bianco d’Alba. La sceneggiatura di Trifole – Le radici dimenticate è una storia che, per quanto possa sembrare fiabesca, trae invece forte ispirazione dalla realtà. Gli sceneggiatori Ydalie Turk e Gabriele Fabbro hanno scritto il film dopo aver raccolto numerosissime testimonianze e racconti di cercatori di tartufi e di contadini che vivono nelle Langhe. Molti dei personaggi nel film si rifanno a persone vere, mentre altri interpretano loro stessi nella vita reale (come i cittadini del paese di Somano). Il personaggio di Umberto Orsini, Igor, è basato su un cercatore di tartufi reale che si chiama Igor Bianco e che vive in una casa gialla circondata dalle vigne del Barolo. Anche lui, come l’Igor del film e tante altre persone della zona, è stato sfrattato e pare che la sua casa sia destinata alla demolizione. Molti dei dialoghi di Igor nel film sono stati scritti basandosi su svariati aneddoti che il vero Igor ha raccontato al regista, tra i quali il metodo di lavaggio dei tartufi che si vede nel film; una pratica antica e che necessita di essere tramandata nella speranza che possa aiutare la nascita di nuovi tartufi.
Oltre a essere un’avventura che segue i sentieri tracciati dal passato di una famiglia, Trifole – Le radici dimenticate porta con sé un messaggio importante: l’uomo è parte della natura e non il suo padrone. Il film ci ricorda che non siamo, come spesso crediamo, qualcosa di esterno alla natura, che possiamo dominare o addirittura ignorare. Trifole – Le radici dimenticate conduce lo spettatore a riflettere su come ci si deve rapportare con la natura in modo simbiotico, per evitare la sua scomparsa. La storia del film ci parla di come, in questo senso, il tempo sia la chiave fondamentale. Il tempo e l’attesa sono valori che fanno parte di noi e di tutti gli esseri viventi. La natura ha i suoi ritmi e ogni sua creatura, compreso l’uomo, ha dei tempi da rispettare per far sì che l’intero sistema funzioni bene. La modernità ci ha resi individualisti mentre la natura ci vuole interconnessi. Trifole – Le radici dimenticate ci mette di fronte, fotogramma dopo fotogramma, al fatto che è tempo di agire per preservare l’ambiente e impegnarci a riscoprire le nostre radici.
Il mondo del tartufo bianco e le Langhe esistono come due ecosistemi tra loro interconnessi, caratterizzati da un approccio estremamente passionale e rigoroso al loro territorio. La regia e la fotografia del film si muovono con grande delicatezza e rispetto, evocando dettagli di un passato fatto di tradizioni, ricordi e profumi che stanno lentamente scomparendo. Il film invita lo spettatore a perdersi tra i colori delle foglie e delle nebbie autunnali, tra gli odori del cibo e dei tartufi, della vecchia casa di Igor e tra gli oggetti del misterioso mondo dei trifolao. Trifole – Le radici dimenticate è, in questo senso, una forte esperienza sensoriale, dove la magia del racconto si identifica nella natura, descritta come una forza misteriosa in costante dialogo con i protagonisti.
La colonna sonora di Trifole – Le radici dimenticate è composta da suoni registrati in loco per catturare tutte le sfumature sonore della Langa odierna. Ad accompagnare i suoni della natura, un commento musicale nostalgico e coinvolgente. La musica presenta un attento adattamento di temi classici eseguiti dall’Orchestra Sinfonica Bartolomeo Bruni (una delle più celebri orchestre piemontesi). Tra i paesaggi nel film risuonano temi di Respighi (come La Colomba o Il Notturno) affiancati da capolavori della musica classica russa. Nel film infatti si sentono estratti dalle Danze Polovesiane e la Petite Suite di Borodin, La Primavera di Glazunov e Le Danze Sinfoniche di Rachmaninov. Il regista attribuisce molto valore alla colonna sonora e come per il suo primo film The Grand Bolero (incentrato attorno allo strumento dell’organo a canne) anche qui la musica si fonde con la sceneggiatura, diventando in alcune sequenze (come quella della pioggia) un’espressione perfino più visiva che sonora.
comingsoon.it
Bellissimo film, immagini delle Langhe a volte anche fiabesche…complimenti al regista Gabriele Fabbro che ha trasmesso con sapienza e Arte messaggi preziosi, soprattutto quello dell’ essere cauti nei confronti dell’ eccessiva modernità e far tesoro di ciò che la Terra ci offre! Bravissimi gli attori, e splendida Birba! Grazie!