Takano Tatsuo prepara il tofu che è considerato il migliore della sua città natale Onomichi (prefettura di Hiroshima) e di tutte le province intorno. Oltre a fornire il suo tofu a un supermercato locale, Takano gestisce un negozio con la figlia Haru che vive col padre dopo essersi separata dal marito. Takano e i suoi amici decidono che è arrivato il momento di cercarle un nuovo fidanzato e iniziano a vagliare i migliori scapoli della zona in cerca del marito perfetto per lei. Ma anche Takano farà un incontro inaspettato con una donna che si rivelerà davvero speciale.
Takano Tofu
Giappone 2023 (120′)
FAR EAST FILM FESTIVAL 26° – Gelso d’oro/Premio del pubblico
È risaputo che Ozu Yasujiro si definiva un “fabbricante di tofu”, che sfornava uno dopo l’altro film tematicamente e stilisticamente simili, proprio come i produttori del modesto alimento a base di soia sfornano cubetti indistinguibili l’uno dall’altro. Naturalmente, il regista di Tarda primavera (1949) e Viaggio a Tokyo (1953) era un artista di prim’ordine, ma nemmeno il protagonista del commovente dramma di Mihara Mitsuhiro, Takano Tofu, è un automa che produce tofu in serie per gli scaffali dei supermercati. Takano Tatsuo (Fuji Tatsuya) è un artigiano appassionato e il suo tofu è considerato il migliore nella sua città natale di Onomichi, nella prefettura di Hiroshima, e in tutta la zona. Sebbene fornisca il suo tofu a un supermercato locale, Tatsuo gestisce anche un negozio con la figlia Haru (Aso Kumiko), che serve clienti fedeli. Cocciuto e legatissimo alle proprie abitudini, Tatsuo è un personaggio che si ritrova in innumerevoli film e serie televisive giapponesi, ritratto quasi sempre come una persona adorabile, indipendentemente da quanti problemi possa causare. Fuji – il protagonista del famoso dramma erotico vietato ai minori Ecco l’impero dei sensi (1976) di Oshima Nagisa – negli ultimi anni della sua carriera si è specializzato nel ruolo del vecchio brontolone, come il fotografo in Photo Album of the Village (2004) e lo chef cinese in Flavor of Happiness (2008), entrambi di Mihara, che con Takano Tofu completa una trilogia di artigiani scontrosi. Fuji è un maestro della recitazione che arricchisce il suo Tatsuo di tratti e sfumature che lo distinguono dal tipico vecchietto del grande schermo, proprio come il suo tofu, che vediamo realizzare accuratamente in appetitosi dettagli, si colloca un gradino sopra tutti gli altri. Tuttavia, la storia è scritta apposta per far piangere anche i sassi, attraverso le classiche caratteristiche del melodramma giapponese: un disastro medico e un matrimonio molto atteso per salvare Haru, che è sulla quarantina, da una solitudine da zitella. La somiglianza tra questo intreccio e quello del classico Tarda primavera è evidente, cosi come la relazione che si instaura tra Fuji e la talentuosa Aso riecheggia il legame che nasce tra i protagonisti del film di Ozu, Ryu Chishu e Hara Setsuko.
Il film però non è affatto un omaggio a Ozu. All’inizio della storia, Haru e Tatsuo lavorano insieme in armonia, secondo routine ben consolidate. Haru però propone delle innovazioni – tofu all’aroma di formaggio, che ne dite? – mentre a Tatsuo sta bene continuare a fare ciò che ha sempre fatto. A un certo punto un medico gli dice che deve sottoporsi a un intervento chirurgico per un’ostruzione arteriosa e il problema di trovare un compagno di vita per Haru, che si è separata dal marito anni prima, si fa pressante. Tatsuo intervista diversi pretendenti, mentre i suoi vecchi amici dello shotengai (via dello shopping) fungono da comico coro greco, e la sua scelta cade sull’affascinante e raffinato proprietario di cinque ristoranti italiani. Come può resistergli Haru, date le sue inclinazioni internazionali? Nel frattempo, Tatsuo approfondisce la conoscenza di Fumie (Nakamura Kumi), una briosa donna più anziana, alle prese anche lei con problemi di salute. I due condividono anche un passato traumatico: entrambi sono sopravvissuti alla bomba atomica di Hiroshima. Il finale presenta delle note di pathos in puro stile Ozu: i mutamenti della vita mandano in frantumi l’illusione della stabilità umana. Ma il tofu di Tatsuo, speriamo, resisterà.
Mark Schilling – fareastfilm.com
“Senza il nigari – il cloruro di magnesio naturale – il tofu non è tofu. E la produzione di massa non riuscendo a gestire questa variabile, per compensare usa coagulanti artificiali”. Benvenuti nel mini mondo di Tofu in Japan – La ricetta segreta del signor Takano. Un film deliziosamente piccino, a cavallo tra comico e dramma sul tema della felicità rintracciabile nelle cose semplici ed infinitesimali di ogni giorno (ogni paragone con tante troppe grandi produzioni cinematografiche è voluto e lecito). Drin drin. Il campanello di Perfect Days ha suonato. Sembra che filosofia e spirito tra i due film si somiglino. Invece il regista e sceneggiatore nipponico Mihara Mitsuhiro condivide con l’exploit in terra giapponese di Wim Wenders qualcosa che a sua volta Wenders condivideva con Paul Auster di Smoke. Piazzarsi in un angolo leggermente periferico di un paese/città, qui in Giappone, e mostrare lo scorrere della quotidianità di persone qualunque, il meno corrotte da schemi di vita moderni e consumistici. Nel caso del film di Mitsuhiro il plot è ambientato nei primi anni duemila ed è incentrato sulla bottega di tofu di un paese vicino a Hiroshima gestita dal settantenne burbero Takano (Fuji Tatsuja) e da sua figlia quasi cinquantenne Haru (Aso Kumiko), dove i due producono artigianalmente il tofu dalla selezione dei semi di soia alla loro tritatura, passando dalla cottura a vapore alla cagliatura (vegetale), fino alla frittura. Takano e Haru lavorano in armonia da tempo, ma mentre lei vorrebbe innovare mantenendo comunque la tradizione, lui non cambierebbe una virgola dell’abituale processo produttivo casalingo. Quando i medici comunicheranno a Takano che ha bisogno di un intervento chirurgico per un’ostruzione arteriosa, l’uomo cercherà con urgenza un compagno di vita per la figlia, ma non sarà il giovane chef di cucina italiana a prendere la mano di Haru.
Cadenzato sull’evolversi degli accadimenti dei due protagonisti su tre primavere che si susseguono, Tofu in Japan è un affresco luminoso e toccante sul passaggio di testimone, anagrafico e culturale, tra generazioni che monta minuto dopo minuto, lieve e corposo, proprio come quel tofu migliore di Hiroshima, e forse di tutto il Giappone, che viene decantato dai clienti della bottega e che nel marasma del globalismo artificiale continua ad essere un alimento sano e locale. Mitsuhiro concede spesso respiro al rapporto padre-figlia, sviando su sottotrame che ruotano attorno a Takano: dal tono romantico con la signora single, malata di cuore come lui, e come lui figlia di morti causati dalla bomba atomica, con la quale inizierà una stretta frequentazione; al contrappunto comico di un gruppo di pittoreschi vicini di bottega. Sempiterni interni tra tubi, recipienti e pentoloni per il tofu si alternano ad esterni urbano-naturali in divenire con una grazia encomiabile che si adagia sulla nostalgia degli anziani, nonché sui rintocchi di commento musicale al pianoforte, come fosse uno degli ultimi titoli di Eastwood con Clint in scena. Del resto Fuji Tatsuya è un attore strepitoso: capace di modulare il calore della scena con pochi cenni di dialogo e la variazione di gesti o movimenti, già nei panni del classico “vecchio brontolone” per Mitsuhiro Mihara in altri due film (Photo Album of the Village e Flavor of Happiness), nonché protagonista del celebre L’impero dei sensi di Nagisa Oshima del 1976. Le testate giapponesi ricordano che anche Ozu si auto qualificava “produttore di tofu”, sfornando film dopo film tematicamente e stilisticamente simili. E con Tofu in Japan siamo inevitabilmente sulla stessa strada del maestro.
Davide Turrini – ilfattoquotidiano.it