Un padre e un figlio cercano disperatamente di sopravvivere, spostandosi da una zona all’altra dell’immensa distesa in cui sono incappati, all’indomani di un cataclisma di proporzioni bibliche che ha quasi azzerato la popolazione e regredito gli esseri umani a un livello bestiale. Conscio dell’inadeguatezza del ragazzo, il padre cerca di formarlo per ogni tipo di avversità, mentre il futuro gli appare sempre più incerto e desolato.
USA 2009 (111′)
La prosa asciutta di Cormac McCarthy è sempre stata un problema per Hollywood: la difficoltà di tradurre in immagini le sue opere e mantenerne intatta la carica polemica non si adatta perfettamente alla logica commerciale da botteghino, tanto che fino al 2000 soltanto Billy Bob Thornton (con Passione ribelle, ispirato al libro Cavalli selvaggi) ha tentato, con scarsissimi risultati, di trasporre un suo romanzo sul grande schermo (una tendenza che è stata poi invertita dal successo di Non è un paese per vecchi del 2007, in cui Joel e Ethan Coen trovarono una sintesi perfetta tra il loro pensiero e quello, più spigoloso, dello scrittore americano). Conscio di questo pericolo, John Hillcoat restituisce pienamente il senso pessimistico e carico di sentimento del capolavoro di McCarthy e riesce a concedersi qualche licenza visiva nella ricostruzione di una desolazione non solo mentale, ma soprattutto fisica del mondo che vuole rappresentare…
longtake.it
La strada, di Cormac McCarthy, è un romanzo che non si dimentica: per la potenza emotiva ed evocativa, per la cupezza disperata che colpisce tanto allo stomaco quanto al cuore, per la profondità dei ragionamenti messi sottilmente in gioco su temi come umanità, fede, redenzione. E per una scrittura secchissima, essenziale eppure capace di comunicare dettagli e sentimenti in maniera ricchissima. Di fronte ad un testo di questo genere, la scommessa di tradurre in immagine cinematografica racconto e stile del libro era di quelle rischiose e assai ambiziose. E non bastava scegliere a priori la strada della fedeltà al testo – e non della sua modifica o implementazione – per pararsi le spalle a sufficienza.
Pur riconoscendo l’onestà della sceneggiatura di Joe Penhall, è quindi nella regia dell’australiano John Hillcoat che The Road riesce e convince sia chi conosce il materiale originale chi semplicemente affronta il film senza alcuna conoscenza pregressa. La disperata odissea dell’Uomo e di suo figlio attraverso il panorama grigio e devastato di un’America post-apocalisse viene tradotta in immagini mantenendo intatta la sua carica cupa e disperata, il suo andamento rapsodicamente frammentato eppure fluidissimo e continuo al tempo stesso. I protagonisti Viggo Mortensen e il giovane Kodi Smit-McPhee, regalano la disperata intensità necessaria ai loro personaggi, e si muovono attraverso un mondo devastato e devastante reso ottimamente nella sua depressione cromatica dall’azzeccata fotografia di Javier Aguirresarobe. Con questi elementi a sua disposizione, Hillcoat gira come fosse un osservatore neutrale, riprendendo gli accadimenti cercando di suggerire il meno possibile, mostrando e partecipando con discrezione solo quando realmente necessario, lasciando che sia l’emozione che deriva dal testo a fare il grosso del lavoro: un passo indietro solo apparente, in realtà un operazione che richiede grande consapevolezza registica.
Gli unici interventi “sensibili” che l’australiano si è ed ha concesso sono quelli relativi ai flashback che vedono protagonista Mortensen assieme a Charlize Theron (anch’essi spietati nel dolore che raccontano e provocano) e l’utilizzo delle musiche firmate da Nick Cave: interventi sempre molto misurati, che non spezzano mai la cruda essenzialità del contesto. Il resto, è farina del sacco di McCarthy: un racconto disperato d’amore paterno e filiale, di dolore, una riflessione sulla natura umana, sulla sopravvivenza e sui suoi modi e i suoi significati, sul senso della speranza e della redenzione. Da questo punto di vista, Hillcoat si fa semplicemente traduttore: e come tutti i migliori traduttori, si fa pressoché invisibile per non alterare la forza dell’originale.
Federico Gironi – comingsoon.it