Sterben

Matthias Glasner

Germania 2024 (180′)
BERLINALE 70° – Orso d’argento per la miglior sceneggiatura

BERLINO – Occorre non lasciarsi fuorviare dal titolo: Sterben (Dying in inglese, Morire in italiano) non è in realtà una meditazione sulla morte bensì sul vivere, sulle difficoltà e le tragedie che costellano l’esistenza di tutte le famiglie, in vari modi e a vari livelli, dalla nascita appunto alla morte. Nulla ci viene risparmiato: cancro, demenza senile, alcolismo, depressione, suicidio. E tuttavia quello presentato a Berlino dal regista tedesco Matthias Glasner è, per tutte le sue tre ore di durata, un film toccante, avvincente, complesso, denso di richiami e significati profondi. Non per niente premiato con l’Orso d’argento per la migliore sceneggiatura.

  Siamo in una cittadina della Germania. I coniugi Lissi (Corinna Harfouch) e Gerd Lunies (Hans-Uwe Bauer), di età molto avanzata, conducono una esistenza ai limiti dell’invivibile, con lei semiparalizzata e a volte incontinente e lui in stato di Alzheimer avanzato che entra senza pantaloni nel giardino dei vicini. Non possono aiutarsi neanche tra loro e quanto ai due figli adulti, questi vivono lontano in città e hanno altro di cui preoccuparsi per poter dedicarsi ai genitori. Impossibile non pensare ad altri drammi della vecchiaia non assistita come Amour di Hanecke o Vortex di Noè. Ma senza giungere a quegli estremi il regista ci presenta freddamente questa situazione come normale, inevitabile, dettata dal progressivo esaurirsi dei legami e dell’empatia familiare. Nel terzo atto (il film è diviso in quattro atti e un epilogo) facciamo conoscenza con Tom (Louis Erdinger), il terzo membro della famiglia, quarantenne direttore d’orchestra impegnato a Berlino nelle prove di una sinfonia che Bernard, vecchio amico e autore, sempre depresso, insoddisfatto del lavoro e soggetto a tendenze suicide, ha appunto chiamato Sterben. Tra l’altro Tom ha appena riconosciuto come suo (per bontà? per debolezza?) un bambino partorito dalla ex da cui si è separato anni prima e del quale non è certo il padre biologico . Unico contatto tra le due generazioni, una tardiva visita alla madre, dove entrambi riconoscono di non essere mai stati capaci di amarsi .Ma ormai è troppo tardi. Ed ecco entrare in scena il quarto membro della famiglia, la sorella di Tom Ellen (Lolita Stangerberg), aspirante cantante fallita, alcolista persa autodistruttiva. Lasciati i sogni di gloria e ridottasi a fare l’assistente di un dentista, ne è divenuta l’amante finendo per trascinarlo sulla stessa strada. È questa paradossalmente la parte più coinvolgente e in un certo senso più divertente del film, con le incredibili serate in vari locali notturni di una città che deve essere Amburgo, con musica rock e relative bevute fino a perdere i sensi (svegliatasi in una camera d’albergo, la ragazza deve chiamare la réception per sapere dove si trova…). 

Senz’altro il più bel film della nutrita partecipazione tedesca, Sterben, anche grazie alle accattivanti interpretazioni degli attori, è un film che trasmette un messaggio di grande umanità. Il regista (che in una intervista dichiara di essersi ispirato anche a vicende autobiografiche ) riesce con grande empatia a darci un ritratto di un ambiente e di una famiglia in cui tutti possiamo in qualche modo riconoscerci. Assumendomi la responsabilità di spoilerare (tanto tutto era prevedibile fin dall’inizio), l’azzeccato epilogo del film è quando Tom, intuendo che l’amico ha veramente deciso di farla finita corre a casa e lo trova con le vene tagliate nella vasca rossa di sangue. Ma allorché, di fronte al suo tentativo di salvarlo, l’altro lo implora “lasciami andare”, non osa fare nulla e se ne va. Sterben appunto, prima o poi bisogna morire.

Giovanni Martini – MCmagazine 90

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