Shahed – La testimone

Nader Saeivar

Iran. Tarlan, insegnante di danza in pensione, assiste all’omicidio della sua amica Rana da parte del marito, un importante membro del governo. Quando la polizia si rifiuta di indagare, Tarlan deve decidere se cedere alle pressioni politiche o mettere a rischio la reputazione e il sostentamento per cercare giustizia.

Germania/Austria 2024 (100′)
CANNES VENEZIA 81° – Orizzonti Extra: Premio degli spettatori

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   Avete La libertà di essere sé stessi. Coltivare le proprie passioni. Danzare. Queste semplici cose potrebbero causare non pochi problemi a chi vive all’interno di un regime repressivo che si aspetta determinati comportamenti dai cittadini e che non è per nulla pronto a tollerare chi cerchi di vivere la propria vita come meglio crede. Ne sa qualcosa Tarlan, ex insegnante di danza, nonché protagonista del lungometraggio Shahed – The Witness, diretto dal regista iraniano Nader Saeivar, scritto insieme al grande Jafar Panahi e presentato in anteprima mondiale all’81° Mostra d’Arte Cinematografica di Venezia, all’interno della sezione Orizzonti Extra. Frutto di una coproduzione tra Austria e Germania, Shahed – The Witness ci racconta, appunto, le vicende di Tarlan (impersonata da un’ottima Maryam Bobani), da sempre in lotta per i diritti delle sue colleghe insegnanti e particolarmente affezionata alla sua ex allieva Zara, anch’ella insegnante di danza, che considera come una figlia. Zara, tuttavia, non sta vivendo un momento facile: le liti con suo marito sono sempre più frequenti e quest’ultimo la picchia spesso, dal momento che vorrebbe che ella smettesse di danzare, in modo da non dare scandalo in città. Un giorno, improvvisamente, egli uccide Zara. Tarlan ne è involontariamente testimone. Chi sarà disposto a crederle, però, dal momento che la polizia si rifiuta di indagare, visto che l’uomo ricopre un importante incarico governativo? In Shahed – The Witness, dunque, il tutto ci viene raccontato per immagini esclusivamente dal punto di vista della magnetica protagonista.

Un forte senso di claustrofobia e di impotenza ci viene trasmesso già dopo i primi minuti. Anche noi, come Tarlan, abbiamo quasi l’impressione di trovarci all’interno di un labirinto da cui sembra praticamente impossibile uscire. Già, perché, di fatto, nel realizzare questo suo importante lungometraggio, il regista (e Jafar Panahi insieme a lui) si è voluto scagliare direttamente contro il regime del suo paese, in cui la libertà individuale sembra ormai soltanto un vago ricordo, mentre, al contempo, i peggiori crimini vengono insabbiati quando a compierli è qualcuno di molto importante all’interno del governo stesso. Gli interni delle case o delle automobili sono spesso bui. A ciò, comunque, si contrappongono i colori accesi dei costumi di tante donne che danzano libere e felici. Da porte semiaperte si possono scoprire i più agghiaccianti segreti. E mentre minacce e intimidazioni sembrano l’unica soluzione in grado di poter mantenere la situazione sotto controllo, un potente veleno potrebbe risolvere ogni problema. O forse no? Con Shahed – The Witness, Nader Saeivar ci ha regalato un lungometraggio che di spunti di riflessione ne offre davvero tanti. Un lungometraggio estremamente realista, arrabbiato, doloroso, ma che sembra non perdere, di fatto, mai la speranza che in futuro le cose possano cambiare. Un lungometraggio che ci racconta la storia di una donna, di tante donne, che ogni giorno devono combattere duramente (e spesso da sole) per essere finalmente libere, per essere semplicemente sé stesse. Ma forse, per essere felici, talvolta basta soltanto lasciarsi andare in un ballo liberatorio, senza più curarsi del mondo che ci circonda.

Marina Pavido – cinema-austriaco.org

Scritto dal regista Nader Saeivar (No End) e da Jafar Panahi (anche al montaggio) – i due artisti iraniani hanno lavorato insieme anche in Tre Volti e Gli orsi non esistonoThe Witness prosegue la loro finalità cinematografica nel documentare la realtà iraniana, ma in questo caso specifico allargano lo sguardo verso una dimensione che valica i confini nazionali: la violenza domestica. Ma la storia è sviluppata anche dal punto di vista di 3 generazioni. Tarlan è è cresciuta durante l’ascesa della Repubblica Islamica dell’Iran, è una madre e nonna, una pensionata che partecipa attivamente alle attività del sindacato, sottoposta, quindi, a un attento controllo da parte delle autorità, osa sfidare e disobbedire al governo. Poi c’è la figlia Zara (Hana Kamkar) nata durante durante l’instaurazione e il dominio del regime, e la nipote Ghazal (Ghazal Shojaei) che fa parte dell’attuale movimento “Donna, Vita, Libertà”, incarnando una coraggiosa resistenza contro il governo.

Ilaria Falcone – nonsolocinema.com

“Specchio delle attuali condizioni della società iraniana, Shahed mostra il modo in cui opera il governo e come le persone debbano obbedire a queste politiche anche a rischio della propria dignità. Questa storia mostra che spesso, sotto un regime repressivo, coloro che si sforzano di mantenere dignità e umanità vengono cancellati e la verità deve essere distrutta. L’antagonista di questa storia è un privato cittadino che tratta con governi stranieri per aggirare le sanzioni economiche per conto del regime iraniano. Quindi qualsiasi crimine commetta verrà ignorato o nascosto dalle procedure governative che gli garantiscono l’immunità. Finché questa persona continuerà a fare da intermediaria, sarà importante per il regime. Shahed esamina questa situazione in Iran attraverso una storia personale. L’omicidio commesso da uno di questi intermediari deve essere insabbiato. Ma c’è una testimone e questa testimone non svende la propria dignità di fronte alla pressione politica e alla paura”

Nader Saeivar

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