1908 Torre del Lago. La cameriera di casa Puccini, Doria, viene accusata dalla moglie del Maestro, Elvira, di essere l’amante di suo marito. La ragazza, incapace di sopportare l’ingiuria, si toglierà la vita. Solo una visita medica post mortem verificherà la sua verginità. Una pagina drammatica che pervase la vita e la musica del Maestro. Elvira verrà processata e condannata per istigazione al suicidio ma non sconterà la pena grazie all’intervento di Puccini stesso. Il film è l’occasione per apprezzare i favolosi scenari del lago e dei luoghi pucciniani della Versilia. La figura di Doria Manfredi ispirerà al Maestro il personaggio di Liù della Turondot.
Italia 2008 (84′)
Benvenuti segue il suo Puccini con rigore quasi filologico e tira fuori dal cilindro un’opera sottratta, timida ma orgogliosa, dalla confezione curatissima ma dall’aura intellettuale volutamente ostica e anti-commerciale. La composizione de La fanciulla del West nella vita del genio – e nella lettura meticolosa e storicistica di Benvenuti – diventa oggetto di ricerca e di studio, un compendio sull’umano che si muove seguendo forme delicate e aggraziate. È un film che gioca con le ombre e le rende documento credibile e portatore di verità, trascurandone la componente mefistofelica e fallace. Sensibile e toccante, resta una visione impervia ma estremamente suggestiva, con una sola voce fuori campo che sostituisce i dialoghi tra i personaggi.
longtake.it
Tra le canne, le palafitte e gli “chalet” sospesi sull’acqua dolce, dipinti direttamente sul posto dai macchiaioli toscani, il regista scopre e porta alla luce la breve vita di Doria Manfredi e quella di Giulia, cugina della “fanciulla” e dispensatrice gioiosa di vino e amore. Vite che “lambirano” la vita di Puccini e che ispirarono la sua produzione melodrammatica. Mentre Doria, spinta da accuse infamanti, cercava la morte, Puccini componeva la Fanciulla del West, dramma d’amore e di redenzione morale sullo sfondo del Golden West. Minnie, la fanciulla che accenderà la rivalità tra lo sceriffo Rance e lo straniero Johnson nell’opera lirica in tre atti, incarna tutte le donne sfiorate, incontrate, vagheggiate e amate da Puccini. Per questa ragione Minnie è insieme amica, sorella, madre e oggetto d’amore per i minatori avventori del saloon “Polka”. Cogliendo appieno il credo irrinunciabile del Maestro (la grande passione e l’impossibilità di fuggirla), Benvenuti ricostruisce l’ambiente storico in cui si consumò il dramma di Doria attraverso inquadrature di smagliante bellezza. Lavorando sulla sottrazione e sullo smantellamento di tutti gli orpelli attoriali, il regista raggiunge la figura (Doria) nascosta dentro la massa informe dei documenti indagati. Ritrova in questo modo l’essenza del cinema: quella di un’ombra che si muove su una parete bianca. Sul volto amabile e garbato di Riccardo Joshua Moretti, Benvenuti riconosce e rintraccia la storia dell’individuo e la storia della società novecentesca. Perché è nella Storia e nel passato che il regista toscano cerca il presente e trova l’attualità dell’inattuale.
Marzia Gandolfi – mymovies.it
Puccini e la fanciulla non è film per melomani. Il cinema rigoroso di Paolo Benvenuti ha sempre rifuggito lo spettacolo e il facile espediente per piacere al pubblico a tutti i costi e l’ultima opera del regista toscano si inserisce nel solco di tale tradizione: non propone le celebri arie del compositore, ma solo qualche brano da La fanciulla del West (che il Maestro sta componendo mentre si svolgono i fatti raccontati e realmente accaduti) eseguito al pianoforte. Dunque, non orchestrato né cantato (salvo un’unica eccezione). Anche il drammatico finale è commentato, a sorpresa, dal quartetto schubertiano La morte e la fanciulla (che rimanda al titolo del film) e non da un Nessun dorma o da un altra aria tragica del musicista lucchese (…)
Chi è alla ricerca di un linguaggio cinematografico non convenzionale (ma nemmeno velleitario) dovrebbe comunque cercare di recuperare questa affascinante elegia. Che rinuncia ai dialoghi, ma impiega le epistole tra Puccini e le persone che lo circondano a mo’ di didascalie del muto lette a voce alta; che affida a pendoli e metronomi (come in Sussurri e grida) la scansione del tempo; che regala una sequenza a tutti gli effetti buñueliana (una telefonata all’ufficio del personale dell’Ansaldo di cui non udiamo le parole, sovrastate dal suono dei macchinari della fabbrica); che presenta anche vaghi echi hitchcockiani (il ricorso alle ombre in senso espressivo); che sa dare un certo ritmo (grazie a un intelligente montaggio del sonoro) a una narrazione compassata, volta a raccontare una vicenda carica di tensioni, rancori, diffidenze, ingiustizie. Ma al di là dei rimandi che si possono più o meno a sproposito trovare, Puccini e la fanciulla resta soprattutto un’opera dell’autore di Gostanza da Libbiano: magistralmente controllata, visivamente seducente, impegnativa per lo spettatore. Opere come questa, richiederebbero più di una visione soltanto per comprenderne la trama e apprezzarne riferimenti, sfumature, idee.
Claudio Zito – ondacinema.it