Samia, nata a Mogadiscio durante la guerra civile, scopre di avere un talento che la rende unica: corre più veloce di tutti i suoi compagni. La corsa diveBill Furlong, mesto venditore di carbone in un paesino irlandese di metà anni Ottanta, è un padre di famiglia attento e premuroso, sempre pronto ad aiutare il prossimo più bisognoso. Durante il periodo natalizio, l’uomo scopre alcuni segreti che riguardano il convento della sua città e che lo riporteranno a confrontarsi con i traumatici ricordi del suo passato.
Small Things Like These
USA/Irlanda/Belgio 2024 (96′)
Ambienti ruvidi e uggiosi fanno da contorno alla ripetitiva vita di Bill, tipico working class man della tradizione anglosassone, tenuto a provvedere alla moglie e alle cinque figlie, in un contesto in cui tutti sono chiamati a chiudere un occhio sull’estrema rigidità con cui la Chiesa Cattolica controlla e gestisce la cittadinanza. Il regista Tim Mielants filtra questa desolazione opprimente attraverso lo sguardo e i ricordi del protagonista, anima tormentata da traumi passati che lo hanno reso insicuro e sofferente. Attraverso un’efficace, ma troppo didascalica alternanza dei piani temporali, Mielants ci invita ricomporre un puzzle narrativo che, attraverso l’incasellamento di frammenti episodici passati e presenti del protagonista, aiutano lo spettatore a farsi un’idea più precisa del perché la società sia così impotente di fronte al potere subdolo esercitato dalle suore del convento cittadino.
L’accento è posto proprio su questo: quella che dovrebbe essere un’istituzione dedicata alla cura e alla serenità della persona cela, invece, un malsano meccanismo sistemico di “correzione femminile” che, dagli anni Venti fino agli anni Novanta del Novecento, si prendeva carico di donne ritenute immorali o considerate un peso per la famiglia, rinchiudendole finanche a separarle dai propri figli. Nonostante il film risulti incisivo nel raccontare il disagio del protagonista – i cui solchi sul viso e i gesti di pulizia esasperata combaciano perfettamente con l’ambientazione alienante in cui è immerso – non risulta ugualmente impattante nella parte accusatoria finale, atta a denunciare le pratiche fanatiche e brutali perpetrate dalla Chiesa Cattolica. Sullo stesso tema – inerente alle “case Magdalene” – ci sono già state diverse pellicole e da un film del genere sarebbe lecito aspettarsi qualche guizzo maggiore, capace di scuotere fino in fondo. Buona comunque la prova di Cillian Murphy in questa pellicola tratta dall’omonimo romanzo di Claire Keegan, autrice già portata al cinema con The Quiet Girl.
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Oltre vent’anni fa Peter Mullan presentò a Venezia il suo Magdalene, ispirato alla storia autentica delle “Magdalene Houses”, case irlandesi gestite da suore dove le ragazze povere espiavano i loro “peccati” (avere abortito, subìto stupri) lavorando senza compenso. Il film, che vinse il Leone d’oro, usava una drammaturgia plateale con tratti di grottesco. Nel mettere in scena lo stesso episodio, il regista belga Tim Mielants sceglie uno stile diametralmente opposto, in sintonia col titolo e convincente più per la solidità della narrazione che per la ricerca di occasioni melodammatiche.
Bill Furlong è un padre di cinque figlie, rispettabile nel suo lavoro di carbonaio del villaggio, di cui rifornisce anche il convento. Un tocco dopo l’altro, però, l’uomo si convince che qualcosa di poco pulito si svolga dietro le mura del monastero; ne ha conferma trovando una ragazzina maltrattata dalle monache e lasciata esposta al gelo irlandese. Capisce anche che molti membri della comunità (inclusa sua moglie) sanno la verità, ma la tacciono per convenienza. Pur consapevole che la condizione della sua famiglia può essere messa a rischio, Bill intraprende una battaglia solitaria contro l’ingiustizia, che un colloquio con la madre superiora (una Emily Watson falsamente benevola) gli conferma. Se la situazione è drammatica, l’andamento è quieto. Il regista inquadra spesso le soglie, come a esprimere la titubanza del protagonista; di cui sappiamo solo (attraverso sobri flashback) che, figlio di madre nubile, fu aiutato a emanciparsi da una generosa proprietaria locale. Esemplare la recitazione di Cillian Murphy recentissimo vincitore dell’Oscar come attore protagonista per Oppenheimer.
Roberto Nepoti – repubblica.it