Past Lives

Celine Song

Na-young e Hang-seo alle medie erano fidanzati ma quando i genitori della ragazza sono costretti a trasferirsi in Canada, i due si perdono di vista. A distanza di dodici anni, riescono a trovarsi su Skype ma Nora, come si chiama ora la ragazza, decide di interrompere la relazione a distanza: dopo altri dodici anni sarà lui ad andare a trovarla negli Stati Uniti.

USA 2023 (106′)

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   Un magnetico sguardo in macchina. Così inizia Past Lives, intima e struggente opera prima di Celine Song. L’esordio dietro la macchina da presa della drammaturga e sceneggiatrice coreana (naturalizzata canadese) possiede sicuramente dei forti rimandi autobiografici: come Nora, la protagonista del suo film, anche la regista ha dovuto lasciare la Corea con la propria famiglia all’età di dodici anni. Eppure, nonostante il personalissimo spunto narrativo iniziale, Song riesce a mettere in scena un’opera dal respiro universale in grado di rappresentare, senza alcun tipo di retorica, un sentimento complesso, sfaccettato e spesso abusato nella storia del cinema come quello della nostalgia. Con una regia che stupisce per lucidità e sensibilità, tanto nei movimenti di macchina quanto nelle scelte di inquadratura o di uso del montaggio, la giovane cineasta accompagna lo spettatore per tre epoche diverse, proponendo un’importante riflessione sull’immanenza del tempo e del suo rapporto universale con l’essere umano. Le due parole che formano il titolo sono, infatti, due concetti da prendere singolarmente: il passato e il presente della vita “che va avanti”, sembra dirci la regista, sono termini apparentemente estremi ma, nella realtà dei fatti, in grado di intrecciarsi e influenzarsi reciprocamente.

Past Lives, d’altronde, è un film dalla duplice anima, dove il tema del doppio è un costante rimando per tutta la durata della pellicola. Il bilinguismo della protagonista (che parla inglese e coreano) si riflette nella sua personale ricerca identitaria legata a doppio filo ad opposte dimensioni temporali, spaziali, culturali e amorose. Tra presente e passato, New York e Seoul, occidente e oriente, l’anima di Nora è divisa anche dal suo amore per il marito americano Arthur (John Magaro) e il forte senso di nostalgia nei confronti di Hang-seo, suo primo amore d’infanzia, ultimo legame con un tempo e un luogo passati che non torneranno più. In questo senso, la ricerca di una propria dimensione identitaria, lontana dalle proprie origini, sembra scontrarsi con la potenza evocativa rappresentata dal ricordo. Non è un caso che il film faccia un dichiarato riferimento, anche nella scelta di ambientare una parte del racconto nella località di Montauk, a Se mi lasci ti cancello, opera la cui essenza psicanalitica e il profondo rapporto con il tema della memoria sono conservati e rielaborati da Celine Song. Ma Past Lives è anche un film di grande potenza empatica, in grado di far saltare qualsiasi archetipo narrativo legato alla dicotomia tra bene e male per raccontare, invece, il tentativo di comprendersi tra esseri umani nonostante le evidenti barriere linguistiche, culturali ed emotive. In questo senso, nel film ritorna più volte il concetto di inyeon (ripreso dal buddismo), secondo cui tutto è collegato e qualsiasi incontro della nostra vita ha un corrispettivo antecedente all’interno delle nostre vite passate.

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il fascino e la bellezza del film sono proprio nel suo non voler dire, nel far intuire e non esplicitare, nel costringere lo spettatore a entrare nella testa (e nel cuore) dei due protagonisti. Se non addirittura a cercare dentro di sé le tessere del puzzle che sembrano mancare. Past Lives è una pellicola che non ti aspetti, eccentrica e sorprendente perché manda a gambe all’aria le regole che siamo abituati a trovare nei film. Chiama in causa direttamente lo spettatore non per prendere una qualche posizione a favore di questo o di quello ma per spingerlo a fare i conti con la delicatezza, con la fragilità e l’impalpabilità, con i sentimenti «allo stato nascente», come avrebbe forse detto Alberoni. Nel film si parla di in-yun, qualcosa che sta a metà tra la provvidenza e il destino e che unisce le persone, e forse è proprio questo il tema con cui il film ci chiede di confrontarci, con quell’indistinta ma concreta sensazione di sentire qualcosa che ci lega in qualche modo a una persona. Senza capire fino a dove quel «legame» può arrivare. Cosa cerca Nora quando si trova davanti a Hae Sung? Vuole recuperare le radici con la sua terra e il suo passato? Oppure ritrovare il candore di un amore infantile che si è appannato con gli anni? E Hae Sung cosa spera con quel suo tardivo viaggio a New York? Gli basterà l’acquisto di un biglietto aereo per rendere esplicito quello che negli anni non ha mai avuto il coraggio di dire? La forza e la bellezza del film sono proprio in questa incertezza, in questa enigmaticità, nei sentimenti in cui sembrano perdersi e ritrovarsi i due protagonisti (con Arthur terzo incomodo) e che chiedono allo spettatore non tanto un confronto quanto una riflessione: che cos’è davvero l’amore?

Paolo Mereghetti – corriere.it

  Che debutto travolgente quello di Celine Song. Caldo, sottilmente dolente, toccante. E profondamente vivo. Past Lives è un film vibrante, come le corde del violoncello della colonna sonora di Christopher Bear e Daniel Rossen che amplificano le emozioni di Nora (Greta Lee) e Hae Sung (Teo Yoo). La loro è una storia che inizia da bambini a Seoul, tra le stradine in salita di una città che li ha visti inseparabili, e continua a New York, tra metropolitane e battelli, quando sono ormai adulti. Sposata con un americano lei, stretto nella rigidità della cultura coreana lui. In mezzo il silenzio di anni passati lontani, conversazioni infinite su Skype calcolando il fuso delle rispettive città e il bisogno di ritrovarsi faccia a faccia e guardarsi negli occhi senza uno schermo a separarli per dare un nome al sentimento che li lega. Parte da un racconto dai contorni autobiografici Past Lives – l’incontro della regista con un amico d’infanzia anni dopo il trasferimento della sua famiglia dalla Corea al Canada – per raccontare una storia di destino e identità. “Quando lasci qualcosa, guadagni anche qualcosa”. Nora ha guadagnato una nuova cultura, una nuova lingua, una nuova prospettiva di vita. L’amore. Ma ha perso anche molto. Andare via significa lasciarsi dietro qualcosa e qualcuno. Nel suo caso un migliore amico, le sue radici e una lingua che parla quasi solo nei sogni. Nel film ritorna a più riprese il concetto dell’In-Yun, parola che in coreano può avere due significati. Provvidenza o destino.
E non è un caso che l’esordio di Song  sia un film di dualismi, di realtà speculari, di riflessi. Il volto di Nora e quello di Hae Sung, lo skyline di New York e quello di Seoul. Due lingue. Due culture. Due identità. Tutto parla e comunica. Tutto risuona. E pone domande che interrogano anche gli spettatori. Provvidenza o destino? Cosa ci ha portato ad essere chi siamo, a decidere chi amiamo? Un cumulo di coincidenze o di scelte consapevoli? Filmato in 35mm e illuminato dalla fotografia avvolgente e intima di Shabier Kirchner, il film prodotto da A24 – in un’ennesima riconferma della libertà espressiva che lascia ai suoi registi – è spettacolare nella sua “semplicità”. Una storia piccola quanto enorme che usa la tecnologia per raccontare una relazione umana che evolve e si rincorre nel tempo. E che ci ricorda come frammenti di ciò che eravamo rimangano custoditi dentro di noi. E nel cuore di chi ci ha amato.

Manuele Santacatterina – hollywoodreporter.it

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