Megalopolis

Francis Ford Coppola

Caesar, architetto innovativo e geniale, vuole ricostruire la metropoli di New Rome (una sorta di New York allucinata e lisergica) con una nuova visione totalmente utopistica. Il suo sogno rischia però di essere ostacolato da alcuni degli uomini più potenti della città. Così pure il sogno cinematografico di Coppola, debordante e folle, è capace di flirtare tanto col disastro quanto col capolavoro: un film che è un atto di fede, verso il cinema e verso la vita.

USA 2024 (138′)

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   Con una idea si esce dalla proiezione di Megalopolis, il film di Francis Ford Coppola che Cannes ha presentato in concorso: che il regista del Padrino e Apocalypse Now, fresco dei suoi 85 anni, ha ancora una grandissima fiducia nel cinema, a cui riconosce la forza e l’energia di una inesausta creatività. Senza preoccuparsi né delle aspettative del pubblico né dei propri preziosismi autoriali. E con i tempi che corrono non è poca cosa. Perché si può dire di tutto del suo ultimo film, che è kitsch, pretenzioso, discontinuo, ma non si può non riconoscergli un’ambizione fuori ordinanza. E non perché usi la storia di Roma antica per parlare del nostro futuro ma perché vuole usare la «macchina cinema» per dare una nuova forma a quelle sue idee e offrire allo spettatore uno spettacolo inedito (…) Adam Driver, nei panni di Cesare Catilina: il riferimento voluto è proprio al politico di Roma antica che tentò di sovvertire l’ordinamento repubblicano nel 63 avanti Cristo e anche se il film è ambientato a New York, in un futuro non molto lontano, una voce off all’inizio di Megalopolis sottolinea il parallelo con la caput mundi dell’antichità e il rischio che l’avidità e la sete di potere rovinino le persone oggi come era successo duemila anni fa.

Anche nel film di Coppola c’è un Cicerone, di nome Frankie (Giancarlo Esposito), sindaco della città e naturalmente grande nemico di Catilina che a capo della commissione urbanistica sogna di distruggere il vecchio per creare nuovi e più ecologici spazi ambientali. Sentiremo il sindaco, verso metà dei 135 minuti di durata del film, tuonare (anche se in inglese) il celeberrimo Quousque tandem abutere, Catilina, patientia nostra? (Fino a quando abuserai, o Catilina, della nostra pazienza? per chi ha dimenticato il latinorum scolastico) ma i rapporti tra i due antagonisti sono molto più sfumati e contradittori, anche per colpa della bella Giulia (Nathalie Emmanuel), che pur essendo figlia di Cicerone ama Catilina. E poi c’è il rappresentante del potere economico, Hamilton Crasso III (Jon Voight), padrone della banca che fa gola al proprio figlio Clodio (Shia LeBoeuf) e alla spregiudicata giornalista Wow Platinum (Aubrey Plaza). I legami tra questi personaggi sono naturalmente molto più complessi e articolati (entrano in gioco anche le vecchie mamme, gli scagnozzi, i tirapiedi) e Coppola, che ha prodotto e sceneggiato da solo il film, affidando al figlio Roman la direzione della seconda unità, si diverte ad adattare alla sua Megalopolis i giochi saturnali con tanto di corse di bighe, gli omaggi alla dea Vesta (Grace VanderWaal) senza dimenticare qualche allusione alle parole d’ordine del populismo trumpiano. Ma a fare la forza del film (che a qualcuno può sembrare troppo ambizioso e troppo fuori norma) è la sua visionarietà, il suo giocare con il parallelismo roma-antico, la capacità di vedere nel passato le radici dei nostri difetti moderni (l’esibizionismo, l’avidità, la doppiezza) ma soprattutto la voglia di sperimentare nuovi linguaggi dove l’ultima cosa che lo preoccupa è la coerenza espressiva. E così lo schermo si riempie di immagini digitali e analogiche, di realtà rifatte in studio e di schermi televisivi e ogni tanto si spezza, con tre immagini parallele che dialogano tra loro, sovrapponendosi o fondendosi. Come aveva fatto Abel Gance con Napoleon quasi cent’anni fa? Sì, perché per Coppola il cinema non smette mai di rinascere nuovamente.

Paolo Mereghetti – ilcorriere.it

   Uno dei film più attesi di quest’anno, Megalopolis, è arrivato nelle sale italiane dopo essere stato ignorato dalla giuria di Cannes e duramente punito al botteghino americano, dove il magnifico sogno durato quarant’anni di Francis Coppola è fallito, al punto da far sì che il New York Times annunciasse «l’inizio di una nuova era di flop» (…) A nulla, purtroppo, sono servite le recensioni positive (parecchie), e il riscontro degli spettatori che si sono avventurati a vedere il film, scoprendo così come il grande affresco coppoliano si ponga, oltre che come specchio dell’America di oggi – decadente, corrotta, dilaniata e venale – anche come l’ispirazione di un futuro diverso, dove l’invenzione scientifica, il pensiero filosofico e la creazione artistica sono la nuova linfa alla democrazia. Perché Megalopolis – che si presenta al pubblico (e nella Hollywood contemporanea) come un’astronave aliena tipo quelle immaginate da Lucas e Spielberg – è un oggetto enorme, generoso, pretenzioso, candido, pieno di sorprese e di amore nei confronti di un’idea di cinema totale che va da Abel Gance a Roger Corman, ma anche per un’idea del mondo. Liberamente ispirato a La congiura di Catilina di Sallustio, solo re-immaginata nella New York dei nostri giorni, Megalopolis ci immerge subito in una metropoli notturna che è più Gotham City (o la prigione di massima sicurezza di Carpenter) che la Metropolis di Fritz Lang. Una città degradata, corrotta ai vetrici del potere (e qui i newyorkesi non possono non pensare ai guai giudiziari del sindaco Eric Adams…), piena di folle confuse che si muovono tra i canyon dei grattacieli ansiose di nuovi leader. Una metropoli sospesa sull’orlo del baratro, come il brillante architetto Cesare Catilina (Adam Driver) appare sospeso in bilico sulla cima del Chrysler Building all’inizio del film. Fermati tempo, intima, quando sta per precipitare. Si può fermare il tempo? La domanda – come l’ossessione di uno scienziato – torna spesso nel film. Non per rimanere congelati nel presente ma perché il passato e il futuro si parlino, entrino in corto circuito. Perché la fine della grande Roma repubblicana non sia lo specchio della fine dell’America contemporanea.

«Il seme di Megalopolis è stato piantato quando, da bambino, ho visto La vita futura scritto da H.G. Welles» ha affermato Coppola «Il soggetto di questo classico di Korda, realizzato negli anni Trenta, è la costruzione del mondo di domani. È sempre rimasto con me, prima come un bambino che giocava allo scienziato e poi come filmmaker». Non a caso il suo eroe (su cui però incombe l’ombra della scomparsa irrisolta della moglie), Cesare, è un costruttore, un architetto, che in cui si intravede il personaggio geniale e contraddittorio dell’urbanista Robert Moses, per decenni burattinaio dietro a qualsiasi opera pubblica a New York e dintorni. Catilina – che è più amletico che idealista – ha infatti inventato un materiale con cui costruire metropoli del futuro accessibili e confortevoli per tutti (il Megalon). La sua nemesi è il sindaco della città, Frank Cicero (Giancarlo Esposito) un politico conservatore anche se non necessariamente maligno. Tra i due uomini c’è Julia, figlia di Frank e innamorata di Cesare. Intorno a loro danzano macabramente il miliardario Hamilton Crassus (Jon Voight), sua moglie Wow Platinum e un giovane leader populista Clodio Pulcher (Shia Labeauf) abilissimo ad accendere le folle sfruttandone la frustrazione (il paragone con Trump è ovvio, ma Coppola sta facendo un discorso più ampio). Contrariamente alle anticipazioni apocalittiche pubblicate prima della sua uscita (il Guardian era sceso ai minimi storici, con un articolo di pettegolezzi diffamatori dal set intitolato: Ma questo tipo ha mai fatto un film?), Megalopolis ha una storia, nel senso più tradizionale della parola, anche se il suo sviluppo narrativo e il suo effetto emozionante sono piuttosto quelli di un caleidoscopio – straboccante di suggestioni fantascientifiche e horror (la stessa combinazione del bellissimo Dracula coppoliano), di filosofia, opera e melodramma.

Ha detto ancora Coppola: «L’America contemporanea è la controparte storica dell’antica Roma e la congiura di Catilina, come raccontata da Sallustio, potrebbe essere ambientata nell’America di oggi – come Cuore di Tenebra di Joseph Conrad (originariamente ambientato durante il colonialismo europeo in Africa, nel 1800) in Apocalypse Now è stato riscritto sullo sfondo della guerra in Vietnam».

Giulia D’Agnolo Vallan – ilmanifesto.it

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