Dopo la prematura morte del marito, Barbe-Nicole Ponsardin Clicquot sfida le convenzioni assumendo le redini dell’azienda vinicola che i due coniugi avevano da poco avviato insieme. Guidando l’azienda attraverso vertiginosi rovesci politici e finanziari, la protagonista resiste alle critiche, rivoluziona l’industria dello champagne e diventa una delle prime grandi donne d’affari del mondo.
Widow Clicquot
USA 2023 (89′)
Ogni volta che stappate una bottiglia di Veuve Clicquot sappiate che state bevendo un pezzo di Storia. Nel vero senso della parola. Fondata nel 1772 da Phillippe Clicquot-Muiron, la Clicquot è una delle molte aziende vinicole della regione di Reims, patria mondiale dello champagne. A quei tempi, nella maggior parte dei casi, la vigna era solo un affare collaterale, soprattutto perché lo champagne non aveva lo stesso mercato del Borgogna o del Bordeaux. Tant’è che se non fosse stato per il figlio di Philippe, François, probabilmente non avremmo mai potuto assaporare le meraviglie del Veuve, anzi, a dirla tutta chissà se pure avremmo avuto lo champagne come oggi lo conosciamo. Già, perché il colore paglierino, il perlage, sono merito di una donna, la vedova Clicquot per l’appunto, Barbe-Nicole Ponsardin. Fu lei infatti a inventare la tecnica del ridding, ovvero il capovolgere e ruotare le bottiglie per far sì che i lieviti non si depositino sul fondo, lasciando così il liquido trasparente, invece che torbido com’era due secoli fa. Barbe-Nicole sposò François e abbracciò il desiderio dell’amato consorte di produrre il migliore champagne del mondo. Lo fece, ma da sola, perché François, uomo instabile e idealista, non resse allo stress dei ripetuti fallimenti a cui andò in contro, e morì di febbre tifoide, o forse suicida a causa della depressione.
Alessandro De Simone – ciakmagazine.it
Madame Clicquot diretto da Thomas Napper, scritto da Erin Dignam che sceneggia la biografia romanzata The Widow Clicquot di Tilar Mazzeo, è una storia canonica di empowerment al femminile. Un film dai toni esemplari, che rispolvera il genio imprenditoriale di una donna di primo Ottocento per poter sgonfiare e abbattere dall’interno tutto il corredo di sessismo e patriarcato ancora imperanti, elevando al massimo grado, così, la ribellione, il genio creativo e l’autodeterminazione femminile (…) Il regista inquadra proprio il dolore indicibile che colpisce la donna per la perdita dell’amato oppiomane e autolesionista, e insieme valorizza la rabbiosa determinazione a tenerne in vita i vitigni, pur sola, isolata e spregiata in un mondo maschiocentrico, predatorio e squalificante che glieli avrebbe voluti sottrarre. Il continuo salto in analessi e prolessi della sceneggiatura è funzionale proprio a solcare i due sentieri tematici che percorrono tutta la storia: da un lato si sostanzia la linea romantica, luminosa e intenerita, che mostra tutta la possente struggenza di un sentimento d’amore così esclusivo tra Barbe-Nicole e François e per questo così dilaniante quando viene a mancare; dall’altra fa risaltare la caparbietà, la sfrontatezza, la lucidità, la tenacia, la visionarietà di una donna battagliera che rivendica i vitigni a sé, si reinventa viticoltrice, sperimenta, sbaglia e cambia miscele, perde e riacquista carichi, sfida il maschilismo imperante nella Francia ottocentesca, aggira il proibizionismo del codice napoleonico pur di esportare i prodotti, ama il marito come poi il distributore dei suoi vini, Louis Bohne, rivoltando convenzioni secolari, non tanto per idealismo né per coscienza di genere, quanto per affermare il proprio diritto all’intelligenza, all’impresa, alla soddisfazione personale oltre il dolore lancinante…
Davide Maria Zazzini – cinematografo.it