L’innocenza

Hirokazu Kore'eda

Minato, che ha 11 anni e vive con sua mamma vedova, inizia a comportarsi in modo strano e torna da scuola sempre più avvilito. Tutto lascia pensare che il responsabile sia un insegnante, così la madre si precipita a scuola per scoprire cosa sta succedendo. Ma la verità, come spesso accade nei film di Kore-eda, si rivelerà essere un’altra e i fatti sveleranno una profonda e toccante storia di amicizia.

Monster
Giappone 2023 (126′)
CANNES 76° – Premio per la miglior sceneggiatura

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   Monster è una fiaba luccicante sulla fragilità. È un film atipico di Hirokazu Kore’eda rispetto ai suoi squarci di vita, aperti come istantanee all’inafferrabilità delle cose, e segnato da due collaborazioni importanti. Quella con lo sceneggiatore Sakamoto Juji, che cofirma il copione (Kore’eda in genere scrive da solo) e quella con il grande musicista Ryuichi Sakamoto, scomparso a marzo 2023, e di cui Monster è l’ultima colonna sonora. Temi ricorrenti di Kore’eda – l’infanzia, la decostruzione del nucleo famigliare tipico che si ricompone liberamente al di là dei vincoli di sangue, l’abbandono, il crimine… – una struttura drammatica inedita, ad incastro. Monster è infatti un film puzzle, che inizia con l’immagine di un grosso edificio in fiamme e poi ripercorre la stessa trama da più punti di vista. Il primo è quello di una giovane vedova che osserva suo figlio Minato comportarsi sempre più stranamente. Convinta che il bambino sia oggetto delle persecuzioni di un insegnante, la donna intenta una protesta con la scuola, presieduta da una direttrice taciturna e reduce da un grande lutto. Il punto di vista del maestro, pieno di buone intenzioni, ma afflitto da un sorriso inquietante, racconta una storia completamente diversa. E il puzzle trova finalmente il suo senso quando, nella terza parte del film, il racconto raggiunge Minato, e un suo compagno di scuola un po’ folletto, ostracizzato dal resto della classe. Kore’eda ha sempre dimostrato grande affinità con i bambini e gli anziani – che la società rende più fragili, ma che nei suoi film spesso contrastano quella fragilità con una dolce, ostinata luccicanza. Monster non fa eccezione e, nel suo terzo atto, assume la dimensione magica di una fiaba, esilarante e triste. Nelle note di produzione del film, Kore’eda descrive così l’essersi sentito (da anni) accomunato ai temi espressi dalle sceneggiature di Juji – «era come se inalassimo la stessa aria ma la esalassimo diversamente». In Monster, aggiunge: «Abbiamo coordinato il nostro respiro». Parte di quella coordinazione ha significato anche un lavoro modificato con gli attori, che – diversamente dal solito – hanno dovuto attenersi alla sceneggiatura. E questo vale anche per i bambini a cui in genere Kore-Eda non faceva vedere lo script. «Coltivo sempre costanti dubbi sulle mie sceneggiature. In questo caso, dato che era scritta da un altro, sul set non dovevo rivisitare i miei errori. Tutto era nitido e quindi durante la lavorazione mi sono divertito molto».

Giulia D’Agnolo Vallan – Il Manifesto

  Dopo due trasferte consecutive, in Francia per Le verità e in Corea del Sud per Le buone stelle – Broker, Hirokazu Kore-Eda torna in Giappone per un film pienamente nelle sue corde, tanto nelle tematiche generali (il rapporto tra genitori e figli, in primis) quanto nel simbolismo messo in campo (il passaggio di un treno come metafora del percorso di formazione raccontato). Quello che in apparenza può apparire come una sorta di thriller inquietante, si rivela man mano che prosegue la narrazione come una pellicola inerente al difficilissimo passaggio tra infanzia e adolescenza, attraverso una drammaturgia tutt’altro che semplice e banale, tanto da ricordare nella struttura Rashomon di Akira Kurosawa. Kore-Eda e lo sceneggiatore Yuji Sakamoto alternano tre punti di vista (la madre, l’insegnante, i bambini) per raccontare una serie di episodi che possono collegarsi a una serie di riflessioni molto delicate, tra cui il bullismo e la difficoltà di comprensione tra adulti e ragazzini. Elegante nella regia e in tutti i dettagli della messinscena, L’innocenza è un film ricchissimo di sottotesti di ampio respiro, che, se nella prima parte può apparire lievemente macchinoso, col passare dei minuti diventa un’operazione sempre in crescita e capace di regalare sincere emozioni fino all’ultima, toccante sequenza. Il risultato è un film davvero ricco di passione, un incendio interiore che brucia lentamente, fino a far scomparire i mostri che abbiamo dentro di noi. Molto affascinante la scelta di Kore-Eda di giocare con gli elementi naturali, giocando con una cornice paesaggistica di grande valore simbolico che comprende fuoco, acqua, terra e aria. A contribuire alla buonissima resa complessiva, vanno segnalate le musiche minimali del compianto Ryūichi Sakamoto (17 gennaio 1952 – 28 marzo 2023), a cui il film è dedicato, e la grande prova degli attori, tra cui svetta Sakura Ando nei panni della madre del giovane protagonista.
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longtake.it

  

  Un po’ come , anche Rashomon continua a tornare nell’immaginario autoriale, spettatoriale e critico. Forse lo citiamo persino un po’ a sproposito, ma è quasi inevitabile in questa moltiplicazione e reiterazione dei punti di vista, in questa ricerca di una verità che nel corso del film sfugge, assume varie forme e poi finalmente deflagra. È così Monster (in Italia si è scelto come titolo L’innocenza) di Hirokazu Kore-eda, sfuggente, come questo continuo slittare narrativo, coi finti indizi, con le immagini che ci mettono di fronte a dei tasselli, ritardando fino all’ultimo la visione complessiva, il mosaico – perché l’immagine, da sola, ha da tempo perso la propria autorevolezza, ha sgretolato la sua congenita verità. Il quadro complessivo messo in scena da Kore-eda, al di là della parabola dei due (splendidi) ragazzini, è persino spietato nella sua precisione da navigato entomologo: dalla preside ai vari docenti, è infatti tutto un brulicare di fobie, giudizi sommari, bugie, riflessi condizionati. Il contesto sociale de L’innocenza, all’apparenza quieto, è invece un coacervo di paranoie alquanto contemporanee. Insomma, sono così, siamo così, sempre meno chiari, meno limpidi: in questo senso, l’istituzione scolastica, coi suoi rituali vuoti, non ne esce benissimo. In parte impotente, in parte colpevole (…)

Uno degli aspetti della poetica di Kore-eda è la minuziosa scrittura e messa in scena dei personaggi, sviscerati ma mai condannati o inchiodati a un perentorio giudizio. Non una detection, quindi, ma il tentativo di comprendere i gesti, le motivazioni, le conseguenze. In tal senso, il punto di vista del maestro Hori (Eita Nagayama) ci mostra il dietro le quinte scolastico, tutta quella gabbia di doveri, paletti, timori, eccessive attenzioni e (necessarie?) bugie. Liberatorio, commovente, umanissimo, il punto di vista di Minato e del compagno Eri ci trascina in una dimensione quasi impossibile, sospesa, sognante. Ed è qui, mentre felici corrono a perdifiato dopo la tempesta, che gli altri sguardi non possono arrivare – nemmeno, per il momento, quello della pur amata e amabile Saori. Come non possono arrivare i piccoli bulli, le angherie, gli scherzi che assomigliano a torture. «Chi è il mostro?» ripetono più volte Minato ed Eri. «Chi è il mostro?» ci chiediamo noi, spaesati come Saori, inconsapevolmente in attesa che arrivi anche per noi il sole dopo la tempesta.

Enrico Azzano – quinlan.it

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