Quando uno dei suoi studenti viene sospettato di furto, l’insegnante Carla Nowak decide di andare a fondo della questione. Stretta tra i suoi ideali e il sistema scolastico, le conseguenze delle sue azioni minacciano di distruggerla.
Das Lehrerzimmer/The Teachers’ Lounge
Germania 2023 (98′)
Piombato come il classico ospite imprevisto nella cinquina dell’Oscar per il miglior film straniero, La sala professori si candida anche a essere una delle rivelazioni dell’anno. Diretto dal turco-tedesco Ilker Çatak, classe 1984, rielabora ricordi scolastici del regista ma lo fa con tale rigore e immaginazione da scavalcare l’epoca per porsi come un potente spaccato del presente. Il tono è concitato. La struttura corale, anche se il punto di vista è sempre quello della protagonista. L’ambiente quasi unico. In sostanza non si esce mai dalla scuola media in cui insegna la giovane Carla Nowak (una superlativa Leonie Benesch), insegnante capace, appassionata, innamorata di quel lavoro e dei suoi piccoli allievi, ma ovviamente non infallibile. Che in totale buona fede dà il via a una reazione a catena destinata a far esplodere tutte le tensioni latenti in quel microcosmo, ovviamente anche specchio fedele del nostro mondo. La scuola è infatti flagellata da piccoli furti e i primi sospetti sono gli allievi. In contrasto con i metodi paternalistici, per non dire odiosi, a cui vengono sottoposti i ragazzi, la Nowak decide di condurre una piccola indagine personale lasciando accesa la telecamera del suo pc in sala professori. Apriti cielo. Le riprese sembrano incastrare qualcuno. Ma un’immagine, per giunta vaga, soprattutto oggi, può esser considerata una prova? O il semplice aver acceso il video viola le regole dell’istituto e i diritti dei presenti?
Su questo spunto quasi hitchcockiano (L’ombra del dubbio), si avvita una spirale che coinvolge tutti, gli altri insegnanti, i dirigenti, i genitori, soprattutto i ragazzi, non solo testimoni ma protagonisti di un “caso” che coinvolge ogni aspetto della loro vita, presente e futura. Film-fenomeno in Germania, dove ha suscitato i dibattiti più vari, “La sala professori” è anche diretto da un vero artista, capace non solo di dar vita a una folla di figure memorabili ma di usare un improvviso stacco meteorologico o l’irruzione di Mendelssohn nel gran finale con mano sensibilissima. È nato un autore.
Fabio Ferzetti – espresso.it
Di certo, l’intento del regista Ilker Çatak è quello di farci parlare e discutere sul tema: fino a che punto la verità sta nel mezzo? Una domanda che spinge a formulare diverse risposte in una storia il più delle volte dal ritmo incalzante che trasforma noi spettatori, in detective ansiosi di scoprire la verità sul furto di denaro effettivamente avvenuto. È interessante come, l’istituzione scolastica, sia stata messa in discussione nella sua natura granitica ed educativa, incendiata dal burn-out della recitazione di Leonie Benesch nei panni della professoressa Covak che, con i suoi occhi sgranati e stanchi, ci trascina in un vortice di esaurimento, perchè appesa tra la speranza di aver girato il video incriminatorio con tutte le buone intenzioni e l’idea di aver fatto, in realtà, un’azione profondamente sbagliata. Il film ha la struttura di una spirale verso il basso, che porta i personaggi della trama a rivoltarsi totalmente contro la protagonista, facendo di noi spettatori i suoi unici sostenitori. Se davvero «Veritas omnia vincola vincit» ecco che qui si ritorna alla domanda iniziale: quale è la verità in una situazione che ti porta ad essere vista come il carnefice di una vittima colpevole? E quanto siamo sicuri che la stessa vittima, lo sia per davvero? L’anarchia dei ragazzi adolescenti è forse resa, a volte, in maniera “troppo adulta” ma una nota speciale va alla scena finale, dove il cubo di Rubik diventa il simbolo di una sfida aperta da parte del piccolo Oskar (Leonard Stettnisch) verso la bontà della professoressa, esponente di una generazione di adolescenti che dimostra di non volersi sottomettere a nessuna autorità, anche quando quest’ultima agisce per il loro bene. Non manca qualche passaggio un po’ forzato dal punto di vista narrativo, ma il disegno d’insieme regge alla distanza, coinvolge e lancia anche alcuni interessanti spunti di riflessione.
longtake.it